Azioni di conservazione, tutela, ripristino degli habitat e reintroduzione dell’Ululone appenninico (Bombina pachypus) nella Riserva naturale regionale Lago di Tarsia

La fauna della Riserva Lago di Tarsia

 

Pesci, anfibi e rettili

 

La particolare tipologia di ambiente umido dell’area del Lago di Tarsia favorisce una fauna ittica particolarmente interessante.

 

La più rappresentata famiglia di pesci presenti è quella dei Ciprinidi, cui appartengono specie come la Carpa (Ciprinus carpio), la Tinca (Tinca tinca), il Carassio (Carassius carassius) e il Carassio dorato (Carassius auratus), che frequentano maggiormente le acque lentiche o stagnanti, fangose, profonde e ricche di vegetazione acquatica. Il Cavedano (Squalius cephalus), il Barbo (Barbus plebejus) e la Rovella (Sarmarutilus rubilio) si trovano, invece, soprattutto nei tratti del fiume a corrente moderata e con fondo ghiaioso e sabbioso.

 

Altre specie presenti nelle acque del Lago di Tarsia sono la Gambusia (Gambusia holbrooki) e il Pesce gatto (Ameiurus melas), entrambi di origine americana, introdotti all’inizio del secolo scorso, e che hanno trovato in queste acque un habitat ideale. L’Anguilla (Anguilla anguilla), che trascorre gran parte della vita nelle acque interne e va a riprodursi in mare, è specie tipica di questo corso d’acqua che negli ultimi anni, in linea con il resto dell’area mediterranea, ha subito una notevole riduzione e per la quale sono in avvio interventi di conservazione e ripopolamento.

 

Di notevole importanza conservazionistica è la presenza della Rovella (Sarmarutilus rubilio), endemismo tipico in forte rarefazione in tutti i corsi d’acqua italiani.

Interessante la presenza di una ricca comunità di Anfibi tra i quali la Rana verde minore (Pelophylax kl. hispanicus), facilmente osservabile in qualunque ambiente umido della Riserva, la Raganella italiana (Hyla intermedia), che si mimetizza perfettamente tra la vegetazione palustre, la Rana appenninica (Rana italica) presente in alcuni ambienti della Riserva. Per quanto riguarda i rospi si segnalano il Rospo smeraldino (Bufotes balearicus) e il Rospo comune (Bufo bufo), quest’ultimo con abitudini prevalentemente terrestri. Particolare interesse rivestono anche l’Ululone appenninico (Bombina pachypus) e il Tritone italiano (Lissotriton italicus), i quali frequentano ambienti abbastanza simili, con acque ferme o debolmente correnti come acquitrini, pozze, vasche, abbeveratoi, ecc. Per queste ultime due specie sono in corso interventi di conservazione e ripopolamento.

 

Insieme agli ambienti umidi, le zone ripariali prative e arbustive del Lago di Tarsia offrono un ambiente ideale per molte specie di Rettili, tra questi la Tartaruga palustre europea (Emys orbicularis), per la quale l’Ente gestore delle Riserve ha realizzato un Centro di Allevamento ex-situ, per attività di ripopolamento e conservazione. Nella Riserva è presente pure la Testuggine di Hermann (Testudo hermanni hermanni), anch’essa oggetto di interventi di conservazione e ripopolamento da parte dell’Ente gestore negli anni passati.

 

Notevolmente diffusi, nelle zone prative ed arbustive della Riserva, sono i Sauri, tra i quali troviamo la Lucertola campestre (Podarcis siculus), il Ramarro occidentale (Lacerta bilineata), la Luscengola (Chalcides chalcides), facilmente osservabili nel periodo primaverile-estivo. Il Geco comune (Tarentola mauritanica) ed il Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus), invece, hanno abitudini prevalentemente crepuscolari e notturne.

 

Per i Serpenti si segnalano la Natrice dal collare (Natrix helvetica) e la Natrice tassellata (Natrix tessellata), dette anche bisce d’acqua in relazione allo stretto legame con l’ambiente acquatico.  Il Biacco (Hierophis carbonarius) e il Cervone (Elaphe quatuorlineata) hanno, invece, abitudini terrestri.

 

L’unica specie di serpente velenosa presente è la Vipera comune (Vipera aspis), il cui veleno è impiegato per uccidere la preda e solo secondariamente come mezzo di difesa. Il livello di tossicità è correlato alla specie animale che lo riceve.

 

Uccelli

 

Dal punto di vista ornitologico nell’area del Lago molte specie di uccelli trovano l’ambiente ideale per il completamento delle diverse fasi del loro ciclo vitale.

 

Tra le specie nidificanti troviamo la Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), lo Svasso maggiore (Podiceps cristatus) la Folaga (Fulica atra) e il Tuffetto (Tachybaptus ruficollis). Tutte queste specie costruiscono nidi galleggianti ai bordi dei canneti.

 

Tra i canneti nidifica anche il Cannareccione (Acrocephalus arudinaceus), difficile da avvistare ma facilmente identificabile per il verso che emette. Nelle zone alberate, in particolare tra i salici e i pioppi, nidificano l’Usignolo di fiume (Cettia cetti) e il Pendolino (Remiz pendulinus), quest'ultimo ha la caratteristica di costruire un nido particolare a forma di fiasco appeso ai rami di salice. Altra specie presente tutto l’anno e nidificante è il Martin pescatore (Alcedo attis), piccolo uccello dalla colorazione variegata che frequenta le zone umide e costruisce il nido in buche scavate nella sabbia. Tra le specie nidificanti, sono da citare per i rapaci diurni: la Poiana (Buteo buteo), il Gheppio (Falco tinnunculus) e probabilmente il Pellegrino (Falco peregrinus); per i rapaci notturni la Civetta (Athene noctua) e il Barbagianni (Tyto alba), questi ultimi prediligono per la nidificazione case diroccate e vecchi ruderi.

 

Infine, sono da citare diverse specie di passeriformi nidificanti come l’Usignolo (Luscinia megarhincos), il Saltimpalo (Saxicola torquata), il Merlo (Turdus merula), l’Occhiocotto (Sylvia melanocephala), la Capinera (Sylvia atricapilla), la Cinciarella (Parus careuleus), la Cinciallegra (Parus major), la Ballerina bianca (Motacilla alba), la Ballerina gialla (Motacilla cinerera), la Rondine (Hirundo rustica) e il Balestruccio (Delichon urbica). Come migratori si segnalano anche le averle, Averla capirossa (Lanius senator) e Averla cenerina (Lanius minor).

 

Le specie più appariscenti sono i grossi trampolieri dell’ordine Ciconiformi (Ciconiiformes) quali l’Airone cenerino (Ardea cinerea) e la Garzetta (Egretta garzetta), che fanno registrare la loro presenza per buona parte dell’anno, mentre la Sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides), la Nitticora (Nycticorax nycticorax), l’Airone bianco maggiore (Ardea alba), l’Airone guardabuoi (Bubulcus ibis), la Spatola (Platalea leucorodia) ed i rari Airone rosso (Ardea purpurea) e Mignattaio (Plegadis falcinellus), sono presenti per periodi più o meno brevi. Da citare, segnalazioni di nidificazioni per la Nitticora (Nycticorax nycticorax).

 

Interessanti le cicogne: la Cicogna bianca (Ciconia ciconia), assunta a simbolo delle Riserve, è diventata una presenza costante negli ultimi anni, sia con alcune coppie nidificanti e sia con diversi individui svernanti e la Cicogna nera (Ciconia nigra), la cui presenza è segnalata durante i passi migratori.

 

Uccelli acquatici per eccellenza e frequentatori delle zone umide della Riserva sono gli Anatidi, tra i quali: il Germano reale (Anas platyrhynchos) che è specie presente tutto l’anno e nidificante, l’Alzavola (Anas crecca), e il Mestolone (Anas clypeata), che sono migratori ma si fermano anche a svernare; il Codone (Anas acuta), la Marzaiola (Anas querquedula) e il Moriglione (Aytya ferina), invece, sono avvistabili durante i passi migratori.

 

Rapaci migratori che frequentano l’area protetta sono il Falco di Palude (Circus aeruginosus), probabile nidificante e il Nibbio bruno (Milvus migrans) con nidificazione accertata. Come svernante è segnalata anche la presenza dell’Albanella reale (Circus cianeus). Altro rapace è il Nibbio reale (Milvus milvus) di passo e svernante, in passato oggetto di nidificazione nell’area della Riserva Lago di Tarsia. Infine, si cita l’importante presenza del Gufo di palude (Asio flammeus) come migratore e svernante.

 

Tra i limicoli, avvistabili durante i passi migratori o come svernanti, ricordiamo: il Cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus), il Chiurlo (Numenius arquata), il Corriere piccolo (Caradrius dubius), il Gambecchio (Calidris minuta), il Combattente (Calidris pugnax), il Beccaccino (Gallinago gallinago), la Pittima reale (Limosa limosa), la Pantana (Tringa nebularia) e la Pettegola (Tringa totanus).

Interessanti per la loro importanza conservazionistica, come specie di passo durante le migrazioni, sono la Gru (Grus grus) e la Moretta tabaccata (Aythya nyroca).

 

Mammiferi

 

Le aree boscose, in particolare la macchia mediterranea, ospitano i mammiferi più elusivi e, quindi, più difficili da avvistare, la cui presenza viene dedotta dalle tracce che lasciano sul terreno come impronte, escrementi o parti del corpo perse accidentalmente (aculei, pelo, ecc).  Un recente studio dell’Ente Riserve sui mammiferi presenti in questo biotopo caratteristico dell’area mediterranea ha portato alla realizzazione dell’Atlante dei Mammiferi Terrestri della Riserva Lago di Tarsia. Il progetto, che ha interessato tutte le specie presenti tranne i Chirotteri, ha consentito la segnalazione di ben 26 specie, tra cui ricordiamo il Tasso (Meles meles), l’Istrice (Histrix cristata), il Ghiro (Glis glis), il Moscardino (Moscardinus avellanarius) e probabilmente, a quote più alte, lo Scoiattolo meridionale (Sciurus meridionalis).

 

Più adattabili e presenti anche in aree antropizzate sono la Volpe (Vulpes vulpes), la Faina (Martes foina), la Puzzola (Mustela putorius), la Donnola (Mustela nivalis), il Riccio (Erinaceus europaeus) e la Talpa (Talpa romana). Un mammifero che si può avvistare nelle zone aperte e cespugliose, seppur raramente a causa della sua accesa elusività, è la Lepre europea (Lepus europaeus), oggetto di immissioni venatorie nelle aree limitrofe della Riserva.

 

Numerose le specie di micromammiferi: la Crocidura a ventre bianco (Crocidura leucodon), la Crocidura minore o odorosa (Crocidura suaveolens), il Mustiolo (Suncus etruscus), il Topo selvatico (Apodemus sylvaticus), il Topo selvatico collo giallo (Apodemus flavicollis), il Topo domestico (Mus domesticus), il Ratto nero o dei Tetti (Rattus rattus).

 

In prossimità di zone umide con fitta vegetazione si segnalano l’Arvicola terrestre (Arvicola terrestris) e l’Arvicola di Savi (Microtus savii), che preferiscono ambienti aperti e zone coltivate con buona copertura vegetale.

 

Nel periodo estivo e nelle ore crepuscolari è facile avvistare diverse specie di Chirotteri. Tra le 13 specie la cui presenza è stata, ad oggi, accertata nella Riserva si segnalano il Rinolofo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum), il Rinolofo minore (Rhinolophus hipposideros), il Serotino comune (Eptesicus serotinus), il Pipistrello di Savi (Hypsugo savii), il Vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii), il Vespertilio maggiore (Myotis myotis), il Pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii), il Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus), il Pipistrello pigmeo (Pipistrellus pygmaeus), il Miniottero comune o miniottero di Schreibers (Miniopterus schreibersii), il Molosso di Cestoni (Tadarida teniotis). A queste si aggiungono altre di notevole interesse conservazionistico come il Pipistrello soprano (Pipistrellus pygmeus), uno dei più piccoli chirotteri europei, e il Vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii), rarissimo nella nostra regione.

 

Infine, da segnalare la Nutria (Myocastor coipus), roditore di origine sud-americana, che dopo l’accidentale introduzione, si è perfettamente adattata alle zone umide locali.

 

La vegetazione della Riserva Lago di Tarsia

 

L’elenco floristico della Riserva del Lago di Tarsia annovera ben 727 taxa specifici e sottospecifici.

 

La biodiversità del sito risulta essere abbastanza ricca con specie di notevole pregio naturalistico per la presenza della Mandragola (Mandragora autumnalis), di un notevole contingente di specie (17 specie) appartenente alla famiglia delle Orchidaceae (generi Anacamptis, Barlia, Limodorum, Epipactis, Oprhys, Orchis, Serapias, Spiranthes) e di altre specie bulbose tra cui Narcissus serotinus e Narcissus tazetta,  Zafferanastro giallo (Sternbergia lutea), Scilla (Urginea scilla), Croco (Crocus biflorus), Romulea bulbocodium e Zafferanetti (Romulea columnae) e Colchico di Cupani (Colchicum cupanii).

 

Inoltre, sono state rinvenute alcune specie di particolare interesse floristico sia per la loro rarità sia per la loro distribuzione geografica. Prima di tutto l’endemico Pigamo di Calabria (Thalictrum calabricum); poi il Romice marittimo (Rumex maritimus), pianta nuova per la flora della Calabria, rara a livello nazionale e segnalata finora in poche stazioni della Sardegna e del litorale veneto-friuliano. Ancora da segnalare Myosurus minimus che, seppure cosmopolita, è annotata come specie rarissima da Pignatti (1982) ed è altresì una specie nuova per la Calabria. Nuova per la Calabria risulta essere anche Panicum capillare.

 

È presente nella Riserva Eclipta prostrata, una composita segnalata per l’Italia da Terracciano nel 1860, poi ritenuta scomparsa per quasi un secolo e nuovamente ritrovata nel 1950 da Anzalone nel Lazio (Anzalone, 1958). Secondo Pignatti (1982) questa composita è in forte espansione nelle regioni tropicali e subtropicali. Ancora due specie nuove per la Calabria e presenti nella Riserva sono Cephalaria syriaca (una Dipsacaceae rinvenuta nei coltivi) e Cuscuta planiflora. Infine, è presente un taxon critico (Gnaphalium uliginosum L. var. prostratum Huet) che è attualmente oggetto di studio.

 

Circa il 41% dell’intera flora della Riserva del Lago di Tarsia rientra nella forma biologica delle terofite (cespitose, reptanti, scapose, parassite). Si tratta di piante annuali che completano il loro ciclo vitale in meno di un anno (nascita, fioritura e fruttificazione). In questa tipologia rientrano la maggior parte delle graminaceae. Seguono, poi, le emicriptofite (reptanti, scapose, rosulate, bienni e scandenti) cui appartiene il 32% della flora della Riserva.

 

Altri elementi interessanti sono le geofite (radicigemmate, bulbose, rizomatose) essendo provviste di rizomi e di bulbi riescono a sopravvivere agli incendi estivi per mezzo dei loro organi sotterranei. Queste ammontano a circa al 13 % dell’intera flora e annoverano molte specie della famiglia delle Orchidaceae (Barlia, Limodorum, Ophrys, Orchis, Serapias, Spiranthes, etc).

 

Il tipo corologico è definito dalla distribuzione attuale delle specie, dove sono stati inclusi solo i tipi più rappresentativi, gli elementi preponderanti sono, in ordine di grandezza, innanzi tutto le specie con distribuzione mediterranea (includendo sia quelle strettamente mediterranee che quelle che hanno il baricentro orientale, occidentale o al nord e al sud del mediterraneo). Esse ammontano a circa il 29% della flora.

 

Le specie Eurimediterranee (ovvero quelle che hanno il loro areale centrato sulle coste del mediterraneo ma che si irradiano anche verso nord e verso est) ammontano al 25% circa. Le specie cosmopolite, soprattutto legate agli ambienti antropici, rappresentano il 7%.

 

Infine, gli endemismi ammontano a circa l’1,7% della flora della Riserva. La lista floristica comprende alcune specie inserite nel «Libro Rosso delle piante d’Italia» (Conti et al., 1992) tra cui alcune specie della famiglia delle Orchidaceae come Serapias parviflora inclusa nelle specie vulnerabili e Juniperus oxycedrus (Ginepro coccolone) inserito come specie ad altissimo rischio di estinzione.

 

Associazioni vegetali interessanti per l’area del Lago di Tarsia sono i boschi misti a latifoglie che annoverano specie come la Roverella (Quercus pubescens), il Leccio (Quercus ilex), il Frassino (Fraxinus angustifolia), il Carpino orientale (Carpinus orientalis), l’Albero di Giuda (Cercis siliquastrum).

 

Da citare è, inoltre, la macchia mediterranea che, in alcune aree fitta e intricata, conserva specie vegetali tipiche quali: Fillirea (Phillyrea latifolia), Lentisco (Pistacia lentiscus), Ginepro (Juniperus oxicedrus).

 

Infine, da segnalare la presenza di 3 specie da Direttiva Habitat: Petalophyllum ralfsii, Pungitopo (Ruscus aculeatus) e Piumino delle fate meridionale (Stipa austroitalica) e 2 specie per la loro importanza conservazionistica: Riella notarisii e Fissidens rufulus. Per Fissidens rufulus si tratta di specie nuova per la flora calabra.

 

 

Premessa

 

Il progetto Ululone, promosso all’interno della Riserva naturale e della Zona Speciale di Conservazione per la Rete Natura 2000 “Lago di Tarsia”, è nato dalla conoscenza dello stato di conservazione degli habitat e delle specie di flora e fauna custoditi in questa area protetta, che è scaturita dal monitoraggio costante delle risorse naturali presenti, con particolare attenzione alle specie rare, minacciate e vulnerabili, al fine di verificarne lo stato di mantenimento nel corso degli anni.

 

L’intervento progettuale, proposto dall’Ente gestore delle Riserve naturali regionali del Lago di Tarsia e della Foce del Crati, finanziato dalla Regione Calabria, nell’ambito del POR Calabria FESR - FSE 2014-2020, Azione 6.5.A.1, Sub-Azione 2, è stato avviato con il “Protocollo di Intesa per la replicabilità di buone pratiche LIFE su scala regionale”, sottoscritto tra Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Direzione generale per lo Sviluppo Sostenibile, per il Danno Ambientale e per i Rapporti con l'Unione Europea e il Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Calabria.

 

Intervenire su una specie considerata fortemente minacciata e rara sul territorio nazionale, collocata nella categoria EN (Endangered) della Red List dell’IUCN e nella Lista Rossa Nazionale, oltre ad essere inserita in Appendice II della Convenzione di Berna e negli Allegati II e IV della Direttiva Habitat 92/43/CE, con un declino stimato del 50% del suo areale di distribuzione e con i dati non incoraggianti sulla riuscita di alcuni interventi da attuare, come l’allevamento in cattività (ex-situ), ha rappresento una sfida a cui l’Ente gestore non ha voluto sottrarsi, pur consapevole  dei rischi.

 

La Direttiva Comunitaria 92/43/CE del 21 maggio 1992, meglio nota come Direttiva “Habitat” impone agli stati membri di tutelare e conservare gli habitat di cui all’Allegato I e le specie inserite negli Allegati II, IV e V.

 

Ancora, prima della Direttiva 92/43/CE, la legge istitutiva delle Riserve della Lago di Tarsia e della Foce del fiume Crati, la L. R. della Calabria n. 52 del 5 maggio 1990, tra le finalità istitutive ha individuato la conservazione delle risorse naturali.

 

Il lavoro, iniziato nel 2017, è stato condotto dall’Ente gestore delle Riserve, attraverso un apposito Gruppo di Lavoro interno, con la collaborazione scientifica convenzionata per alcuni aspetti progettuali del Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria, ha ottenuto buoni risultati.

 

Il ripristino di un sito storico della presenza dell’Ululone nel territorio della Riserva Lago di Tarsia, la creazione di nuovi siti, la realizzazione e il mantenimento del Centro di Allevamento ex-situ, il rilascio nel triennio 2019 - 2021 nei siti recuperati di circa 300 individui tra girini, giovani, metamorfosati e sub-adulti, confermano i risultati più che positivi del progetto.

 

L’Ente gestore, consapevole che tra le principali cause del declino e della scomparsa della specie, oltre all’inquinamento e all’alterazione e perdita di habitat, per come la letteratura scientifica ha evidenziato, vi è l’infezione provocata da un fungo (Batrachochytrium dendrobatidis), intende avviare un monitoraggio periodico sugli individui e sugli habitat, al fine di prevenire eventuali contagi nei siti e presso il Centro.

 

Non far rimanere circoscritto questo lavoro, realizzato con impegno e sacrificio, è un obiettivo che l’Ente gestore intende perseguire, anche attraverso la pubblicazione di quest’opera, che raccoglie i risultati del progetto, affinché possa contribuire ad informare e sensibilizzare, fattivamente, alla promozione di interventi simili di conservazione e ripopolamento in altre aree della nostra regione, dove si registrano perdite di habitat idonei con conseguente scomparsa della specie.

 

Consapevoli che la tutela dei beni ambientali passi anche dalla conoscenza e dalla valorizzazione delle risorse, attraverso i lavori editoriali realizzati nell’ambito del progetto (libro e pen drive) si vuole contribuire a far crescere nella società e nei giovani in particolare, sempre di più, quella consapevolezza che l’ambiente e la biodiversità vanno difesi e tutelati in primis con i nostri comportamenti quotidiani.

 

 

 

 

Amici della Terra

Ente gestore Riserve Tarsia-Crati

 

Gli Anfibi

 

Gli Anfibi, fra tutti i Vertebrati, sono quelli a maggior rischio di estinzione. La pressione antropica, l’uso di pesticidi, l’immissione di specie esotiche, l’introduzione di pesci per allevamento e pesca sportiva, l’alterazione e la distruzione di habitat, l’inquinamento di vario genere, i cambiamenti climatici, ne compromettono seriamente le popolazioni.

 

Sono una classe di Vertebrati che si colloca in una posizione intermedia tra i Pesci ed i Rettili, ciò in relazione alle loro caratteristiche morfologiche e fisiologiche, che gli permettono di vivere sia sulla terra ferma che in acqua. Nel territorio delle Riserve, come del resto in tutta Italia, sono presenti solo Anfibi appartenenti agli Ordini Urodeli e Anuri. Gli Urodeli o Caudati sono rappresentati da specie che nello stadio adulto sono forniti di coda (salamandre e tritoni). Gli Anuri (rane e rospi), invece, da adulti sono privi di coda.

 

La comparsa degli Anfibi sulla Terra risale a milioni di anni fa.

 

Secondo ricostruzioni paleontologiche si originarono da un gruppo di pesci ossei denominati crossopterigi, che a seguito di importanti cambiamenti climatici, tali da provocare il prosciugamento delle raccolte d’acqua in cui vivevano, svilupparono modificazioni strutturali del corpo, quali ad esempio gli arti derivanti dalla trasformazione delle pinne, che gli consentivano la locomozione sulla terraferma. I primi brevi contatti con questo nuovo ambiente divennero sempre più prolungati in funzione di una maggiore disponibilità di cibo. L’adattamento alla vita in ambiente terrestre ha richiesto diversi cambiamenti nell’anatomia e nella fisiologia di questi animali, portandoli alla struttura corporea che conosciamo oggi.

 

Evoluzione e sistematica

 

Pur avendo acquisito nel corso dell’evoluzione una notevole adattabilità all’ambiente terrestre, soprattutto alcune specie di Anuri, restano tuttavia dipendenti dall’acqua almeno per quanto riguarda la fase riproduttiva. Infatti, tutti gli Anfibi presentano una fase larvale acquatica.

 

Dal punto di vista biologico sono Vertebrati tetrapodi (muniti di quattro zampe) o apodi (privi di zampe) con uno scheletro quasi completamente osseo, pelle nuda e temperatura del corpo dipendente da quella dell’ambiente (ectotermi).

 

Gli Anfibi viventi comprendono tre ordini: Apodi o Gimnofioni, Urodeli o Caudati e Anuri.

 

Gli Apodi hanno una struttura corporea di tipo serpentiforme, conducono vita ipogea e sono diffusi nella regione orientale e neotropicale.

 

Gli Urodeli si distinguono per la morfologia corporea costituita da una lunga coda e da arti tozzi, entrambi utilizzati per il movimento sia nell’acqua sia sulla terra ferma, hanno pelle nuda, spesso verrucosa. Lo stadio larvale è simile all’adulto, ma presenta le branchie. La fecondazione è interna: il maschio depone una o più spermatofore, che la femmina raccoglie ed introduce nella cloaca.

 

Gli Anuri sono i più evoluti tra gli Anfibi ed anche quelli con il più elevato numero di specie. Hanno un corpo tozzo ed ovale, con gli arti di lunghezza diversa, essendo quelli posteriori molto più lunghi ed utilizzati per saltare e per nuotare. La pelle è nuda con la presenza di ghiandole che secernono muco ed alcaloidi tossici. Molti posseggono un organo vocale che consente loro di emettere suoni forti, rinforzati nei maschi da sacchi vocali. Molte specie possono adattare il loro colore alle tinte dell’ambiente (mimetismo). La fecondazione è esterna e le uova vengono fecondate dal maschio man mano che sono emesse in acqua dalla femmina. Lo stadio larvale viene chiamato “girino” ed è morfologicamente diverso dall’adulto, infatti presenta una lunga coda che man mano scompare durante la metamorfosi.

 

Il ruolo degli Anfibi negli ecosistemi

 

Gli Anfibi, oltre ad essere importanti nel quadro ecosistemico o territoriale, giocano anche un ruolo nella cultura umana. Essi, infatti, forniscono biomedicinali vitali, compresi composti che vengono raffinati per estrarre analgesici, antibiotici, stimolanti per le vittime di attacco di cuore e nei trattamenti per diverse malattie tra cui la depressione, l’ictus, le convulsioni, il morbo di Alzheimer e il cancro. E' noto il caso della rana arborea dagli occhi rossi (Litoria chloris) e delle specie affini che producono un composto in grado di prevenire l'infezione da HIV.

 

La pelle sottile degli anfibi è coinvolta nel ricambio organico di acqua ed aria, ma causa un aumento della loro suscettibilità ai contaminanti ambientali in particolare a quelli agricoli, industriali e chimico-farmaceutici (esempio tipico: l’atrazina). Inquinanti organici clorurati (ad esempio, DDT, PCB, diossine) possono anche agire come agenti che causano problemi endocrini.

 

La presenza di Anfibi all’interno e nelle aree limitrofe alle zone di acqua dolce, li rende molto adatti ad essere utilizzati per analisi pertinenti e intercomparative di alcuni aspetti della salute ambientale.

 

Inquadramento dell'area

 

La Calabria settentrionale è caratterizzata da una profonda spaccatura posta fra due catene di monti, la Catena Costiera ad occidente e la Sila ad oriente; nel fondo della frattura scorre il Crati, il più lungo fiume della Calabria. La valle in cui esso scorre è di origine tettonica, formatasi in seguito ad uno sprofondamento centrale e ad un contemporaneo innalzamento dei suoi margini esterni. Lungo tutto l’asse della Valle del fiume Crati affiorano rocce metamorfiche e magmatiche, rocce sedimentarie antiche e rocce di deposito dei cicli terziari, parzialmente coinvolte nei processi di deformazione orogenica. I contatti tra tutte queste litologie sono livellati e nascosti dai depositi più recenti plio-pleistocenici.

 

Il clima della valle è del tutto particolare, infatti, la presenza di un sistema montuoso immediatamente a ridosso del Mar Tirreno, la valle e l’acrocoro silano fanno sì che, a piovosità medie annue molto elevate (2350 mm registrati nella stazione di Laghicello, sulla catena costiera), seguano valori medi quasi in linea con quelli nazionali, per poi ritornare a valori elevati in corrispondenza della Sila (1.639 mm a Camigliatello Silano).

 

All'interno di tale contesto, lungo il corso del fiume Crati, sono situate le Riserve naturali regionali del Lago di Tarsia e della Foce del Crati, caratterizzate da ambienti umidi (stagni, acquitrini, alveo fluviale, lago) di notevole interesse naturalistico, per la presenza di numerosi ecosistemi di pregio e per la grande varietà di specie vegetali e animali.

 

Tutta l’area dell’invaso è caratterizzata da una vegetazione tipica delle zone umide e con una notevole diversità determinata soprattutto dalle ampie oscillazioni della quantità d’acqua presente. Nei prati umidi, allagati durante il periodo invernale, dominano le diverse specie del genere Juncus, mentre negli stagni temporanei o permanenti abbondano le specie galleggianti come l’Azolla o la Lenticchia d’acqua. Sui costoni prospicienti l’invaso è presente anche una vasta area a macchia mediterranea in ottimo stato di conservazione, con estesa copertura di Leccio in alcuni tratti accompagnato da specie submediterranee quali Orniello e Roverella. Anche nel tratto a monte del lago la fascia di vegetazione riparia appare ben conservata, con abbondante presenza di specie arboree di pregio quali Pioppo ed Ontano.

 

Particolarmente interessante è la diversità della fauna presente, soprattutto uccelli acquatici, molti dei quali nidificanti, e tra questi la rara Cicogna bianca assunta a simbolo delle Riserve.

 

 

La Riserva naturale regionale Lago di Tarsia

 

Il Lago di Tarsia, un bacino lacustre a monte della diga delle Strette di Tarsia, rappresenta un’area di notevole interesse naturalistico per la sussistenza di numerosi ecosistemi di pregio e per la grande varietà di specie vegetali e animali.

 

La Riserva si compone di due diverse aree: quella sulle sponde del lago di Tarsia, nei pressi dell’omonimo comune e quella che si estende sulle colline del versante orientale, dove sorge Santa Sofia d’Epiro. In particolare nella sua parte collinare è presente un magnifico esempio di macchia mediterranea, incontaminata e scarsamente antropizzata costituita da leccio, olmo, tamerice e corbezzolo. La parte a valle, coincidente con il bacino lacustre, è un habitat naturale per una grande varietà di pesci, anfibi, rettili e uccelli acquatici.

 

La biodiversità animale e vegetale dell’area annovera 182 specie di fauna vertebrata e 727 taxa di flora specifici e sottospecifici.

 

Il Lago di Tarsia grazie alla sua ricca e straordinaria presenza di avifauna selvatica rappresenta una delle più importanti aree della Calabria per gli appassionati di birdwatching.

 

Le Riserve

 

Le Riserve naturali del Lago di Tarsia e della Foce del fiume Crati, situate in provincia di Cosenza, sono state istituite dalla Regione Calabria nel 1990 (L. R. della Calabria n. 52 del 5 maggio 1990 e ss. mm. e ii.) su proposta dell'Associazione di protezione ambientale “Amici della Terra Italia".

 

Le Riserve sono anche Zone Speciali di Conservazione (ZSC) per la Rete Natura 2000, ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CE.

 

Esse coincidono con due importanti aree umide poste lungo il corso del fiume Crati: il Lago di Tarsia, grande invaso a monte della diga delle Strette di Tarsia, ricadente nel territorio dei comuni di Tarsia e di Santa Sofia d'Epiro, e la Foce del fiume Crati, ricadente nel territorio dei comuni di Corigliano-Rossano e di Cassano allo Ionio (tra le frazioni Thurio e Laghi di Sibari).

 

L’estensione delle due aree è nell’insieme di circa 600 ettari e la loro gestione è attribuita all’Associazione di protezione ambientale “Amici della Terra”. Sono iscritte nell’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette tenuto dal Ministero della Transizione Ecologica ai sensi della Legge 394/91.

 

Finalità istitutive delle due aree protette sono:

  • la conservazione e la valorizzazione delle risorse naturali;
  • la fruizione didattica e naturalistica;
  • la ricerca scientifica.

 

Ricca e diversificata si presenta la biodiversità animale e vegetale di queste due aree protette.

 

Per la fauna vertebrata sono state censite 200 specie che rappresentano il 16% circa delle specie distribuite in Italia.

Per la flora le specie complessive presenti sono 950 e rappresentano il 36% circa di tutte le entità censite in Calabria.

 

Tra i servizi avviati dall’Ente gestore i più importanti sono:

  • i Centri Visitatori:
  • di Tarsia (via Garibaldi, 4 - Palazzo Rossi);
  • di S. Sofia d'Epiro (Largo Trapesa, 1 -  Palazzo Bugliari);
  • di Cassano allo Ionio - Sibari (Viale Magna Grecia).
  • Il Museo di Storia Naturale della Calabria con Sezioni:
  • a Tarsia, dove hanno sede i Diorami dedicati alle Aree Protette della Calabria;
  • a S. Sofia d'Epiro, dove ha sede l’Erbario del Crati;
  • a Sibari di Cassano Ionio dove ha sede il Museo del Mare.

 

Altri servizi e strutture creati dalle Riserve, a favore della conservazione della biodiversità e della fruizione didattica e naturalistica, sono:

  • il Laboratorio di Botanica;
  • il Laboratorio di Analisi Ambientale;
  • la Biblioteca Naturalistica Calabrese;
  • il Campo sperimentale della Vite selvatica;
  • il Centro di Grafica Naturalistica;
  • l’lnfo Point ambientale regionale;
  • il Centro di Esperienza Ambientale “A Scuola nelle Riserve”;
  • il Centro di Allevamento ex-situ Ululone Appenninico (Bombina pachypus);
  • il Centro di Allevamento ex-situ Testuggine palustre (Emys orbicularis);
  • il Centro di Allevamento ex-situ Tritone italiano (Lissotriton italicus);
  • il Giardino Botanico del Crati.

 

La Sede delle Riserve è a Tarsia (Cs), ubicata a Palazzo Rossi, uno dei più bei palazzi patrizi di Tarsia.

 

L'Ululone appenninico

 

L’Ululone appenninico (Bombina pachypus) è una specie endemica dell’Italia peninsulare, con un areale che si estende dalla Liguria alla Calabria. Questo anuro è distribuito prevalentemente in ambienti collinari o montani, potendo vivere anche oltre i 1600 m (Sindaco et al., 2006).

 

Si tratta di una specie che frequenta un’ampia gamma di ambienti acquatici prediligendo, tuttavia, raccolte d’acqua di limitata estensione e poco profonde quali pozze, acquitrini e prati allagati; è, inoltre, fortemente legata ad ambienti acquatici artificiali quali abbeveratoi, fontanili e vasche. Bombina pachypus è un anuro eliofilo, gregario e ad attività prevalentemente diurna.

 

Durante il periodo di attività, che va generalmente da aprile ad ottobre, l’Ululone appenninico trascorre gran parte del tempo in acqua; lo svernamento avviene in rifugi sotto terra o sotto le pietre, vicino ai siti riproduttivi, ai quali la specie si mantiene fedele.

 

L’Ululone appenninico sta divenendo sempre più raro e localizzato in quasi tutto il suo areale; nel 2013 è stato classificato come specie “in pericolo” nella Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani (Rondinini et al., 2013) e lo stato di criticità delle popolazioni è stato rilevato in diverse aree da uno studio promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel 2014 (Canestrelli et al., 2014).

 

Inquadramento tassonomico

 

Dal punto di vista tassonomico questa specie presenta uno status controverso. Alcuni autori considerano gli ululoni presenti nell’Italia centro-meridionale come una sottospecie di Bombina variegata (specie politipica centro-europea); mentre altri (Lanza & Corti, 1993; Nascetti et al., 1982; Szymura & Gollmann, 1996) hanno proposto di ritenere le popolazioni diffuse a sud del Po, dalla Liguria occidentale alla Calabria, specie monotipica, esclusiva della Penisola Italiana. In definitiva dagli addetti ai lavori viene descritta come specie distinta, ossia, Bombina pachypus - Ululone appenninico.

 

L’Ululone è un piccolo rospo che non supera i 6 centimetri. Ha una struttura corporea tozza e zampe posteriori robuste. La pelle del dorso è ricchissima di ghiandole secernenti sostanze irritanti utilizzate per scoraggiare eventuali aggressori.

 

Il colore del dorso è grigio - bluastro, mentre il ventre è giallo vivace rappresentando una colorazione di avvertimento, o aposematica che mette in mostra assumendo, se si sente in pericolo, una posizione caratteristica con le zampe anteriori rovesciate sugli occhi e quelle posteriori sul dorso.

 

Frequenta habitat sia terrestri che acquatici, prediligendo comunque raccolte d’acqua di piccole dimensioni come stagni, pozze temporanee, acquitrini, canali di scolo, fontanili, abbeveratoi situati sia in aree aperte che boscate.

 

Specie attiva soprattutto di giorno. Il ciclo riproduttivo è quello tipico degli anfibi svolgendosi in primavera ed estate con accoppiamento in acqua, preceduto dai richiami dei maschi che ricordano un ululato e da qui il nome della specie. Le uova dopo la deposizione aderiscono alla vegetazione. Le larve sgusciano dopo una settimana e la metamorfosi si compie dopo circa 3 mesi.

 

È considerata fra gli anfibi la specie più longeva con i 16 anni di vita che può raggiungere.

 

Bombina pachypus è specie protetta dall’Unione Europea essendo inserita nell’All. II della Convenzione di Berna, negli Allegati II e IV della Direttiva Habitat 92/43/CE, quest’ultima recepita con il DPR n. 357/97.

 

Dal 2009 è classificata come specie “in pericolo” nella Lista Rossa dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN) e nel 2013 è stata classificata come specie “in pericolo” anche nella Lista Rossa dei Vertebrati Italiani.

 

Problematiche di conservazione

 

Recenti studi hanno dimostrato come la specie abbia subito negli ultimi anni una notevole contrazione delle popolazioni e, in funzione della sua endemicità, risulta oggi specie protetta.

 

Lo stato di criticità delle popolazioni di questa specie è stato dimostrato da uno studio (cfr. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Università della Tuscia, maggio 2014), che conferma i dati di un sostanziale e repentino declino anche in Calabria, che in passato rappresentava una vera e propria “roccaforte” sia per consistenza che per variabilità genetica. La specie è, infatti, caratterizzata da una notevole variabilità genetica, dimostrata da recenti studi che hanno evidenziato, inoltre, come le popolazioni calabresi siano quelle con la maggiore diversità.

 

L’andamento negativo è stato confermato anche dai risultati emersi dal terzo rapporto per la Direttiva Habitat (redatto ai sensi dell’art. 17), nel quale le popolazioni delle aree biogeografiche Continentale e Mediterranea (cit. Bombina variegata) vengono complessivamente definite come in “cattivo stato di conservazione”.

 

Questo drastico declino, stimato tra il 50 e l’80% della popolazione, ha trovato spiegazioni ed ipotesi diverse, accanto alla riduzione dei siti tipici di presenza e immissione di sostanze inquinanti, su scala nazionale è da imputare a malattie (chitridiomicosi causata dal fungo Batrachochytrium dendrobatidis), ai cambiamenti climatici e alla ridotta diversità genetica che ne diminuisce le capacità di adattamento ai mutamenti ambientali.

 

È stato, altresì, evidenziato come la diversità genetica intraspecifica di Bombina pachypus è concentrata nelle popolazioni della Calabria ed è bassa in tutto il resto dell’areale, ma tutte le popolazioni sono ascrivibili ad un’unica unità evolutivamente significativa.

 

Modelli preliminari di idoneità bioclimatica suggeriscono che la Calabria sia stata l’area a maggior idoneità per la specie nel periodo 1950-2000, ma prevedono che entro il 2080 quest’area subirà una riduzione del suo grado di idoneità, mentre le aree centrali e settentrionali della penisola potrebbero offrire condizioni progressivamente favorevoli.

 

Cause di declino

 

Come per altri anfibi tra i fattori principali che minacciano la specie, determinando il declino delle popolazioni, vi sono i cambiamenti climatici, l’inquinamento, la distruzione e l’alterazione degli habitat ed in particolare dei siti riproduttivi idonei.

 

Tuttavia, la letteratura scientifica evidenzia come il disturbo antropogenico non sia in questo caso sufficiente a spiegare un fenomeno di declino così intenso e repentino ed individua come principale responsabile la chitridiomicosi, una patologia emergente causata dal fungo Batrachochytrium dendrobatidis (Berger et al., 1998; Kilpatrick et al., 2010; Longcore et al., 1999). Gli effetti di questa patologia sulle popolazioni di anfibi sono ben noti e più di 100 specie appartenenti a 14 famiglie di Urodeli ed Anuri risultano attualmente colpite da questa infezione; circa la metà delle specie è australiana ma la patologia è diffusa anche in America, Europa, Africa ed Oceania.

 

Questa patologia in Italia è stata segnalata per la prima volta tra il 2000 ed il 2001, in provincia di Bologna, su degli esemplari di Bombina pachypus mantenuti in cattività (Stagni et al., 2004).

 

La presenza di Batrachochytrium dendrobatidis è stata riscontrata nel 2013-2014 anche tra le popolazioni calabresi del Parco nazionale della Sila, del Parco nazionale d’Aspromonte e del Parco naturale regionale delle Serre) in uno studio condotto da Canestrelli et al., 2014.

 

Status della specie in Calabria e nel territorio della Riserva naturale Lago di Tarsia

 

Fino alla fine degli anni ’90, la distribuzione e la consistenza numerica di Bombina pachypus all’interno del suo areale erano considerate abbondanti, sebbene con variazioni a livello locale; in particolare la specie mostrava una diffusa presenza nel settore meridionale del suo areale (Caputo et al., 1992; Sperone et al., 2006; Talarico et al., 2004). In epoca relativamente recente, a partire dagli anni duemila, si è assistito ad una contrazione repentina e diffusa delle popolazioni in tutto l’areale, che inizialmente ha interessato le popolazioni settentrionali della specie (Barbieri et al., 2004; Stagni et al., 2004; Guarino et al., 2007) ed in seguito quelle meridionali (Romano et al., 2012).

 

Preliminarmente a questo studio, si è ritenuto importante analizzare i dati di distribuzione della specie in Calabria per ottenere un quadro di sintesi e un valido punto di partenza ai fini della realizzazione delle azioni previste. Tali dati, raccolti dal Laboratorio di Erpetologia dell’Università della Calabria a partire dagli anni 80, sono stati aggiornati ed elaborati nell’ambito del progetto PAN-Life (LIFE13) da parte della stessa Università della Calabria - Dipartimento di Ecologia, Biologia e Scienze della Terra.

 

I siti di presenza dell’ululone risultavano ben distribuiti su tutto il territorio calabrese, con uno status piuttosto stabile e popolazioni abbondanti e demograficamente consistenti, fino alla fine degli anni ’90; recenti, anche se parziali, indagini hanno per contro mostrato un notevole decremento della presenza di questa specie, in linea, purtroppo, con quanto rilevato a livello nazionale (Canestrelli et al., 2014).

 

La contrazione delle popolazioni di questa specie appare, quindi, un dato ormai certo, sebbene sia doveroso, ancora, sottolineare che in Calabria non è stato effettuato un censimento intensivo in tempi recenti.

 

L’unico studio organico mirato a stabilire lo status delle popolazioni meridionali della specie rimane quello dell’Università della Tuscia, condotto attraverso una campagna di verifica dei siti di presenza storica della specie condotta nei tre Parchi nazionali calabresi (Pollino, Sila e Aspromonte), nel Parco naturale regionale delle Serre e nell’area della Catena Costiera. Lo studio ha rilevato una diminuzione delle popolazioni soprattutto nell'area silana (Canestrelli et al., 2014).

 

Status della specie all’interno del territorio della Riserva Lago di Tarsia

 

La specie è stata censita nella Riserva Lago di Tarsia fino agli anni novanta. I dati sulla presenza della specie nel territorio della Riserva sono riferiti a segnalazioni da parte dell’Università della Calabria (Laboratorio di Zoologia - Sezione di Erpetologia) (1999) e dell’Ente gestore delle Riserve (2001), con stazioni localizzate sul confine della Riserva che rappresentano, dal punto di vista altitudinale, la quota minima di distribuzione della specie in Calabria (157 m .s.l.m.) (Tripepi et al., 1999).

 

Negli ultimi anni la specie non è stata rilevata e non si hanno informazioni specifiche che consentano di definire l’attuale stato distributivo e conservativo nell’area della Riserva. In particolare non si hanno più osservazioni in almeno due stazioni localizzate lungo il confine perimetrale della Riserva, all’interno del comune di Tarsia. La presenza dell’Ululone appenninico nella Riserva Lago di Tarsia oltre a valorizzare gli aspetti naturalistici di quest’area protetta, impone di promuovere azioni affinché la stessa specie possa permanere e, anzi, aumentare la comunità esistente.

 

Per tutto questo, per le ragioni e le raccomandazioni espresse da studi e protocolli nazionali ed internazionali sull’importanza di avviare azioni urgenti di studio e conservazione della specie, è apparso necessario l’avvio di un programma di azione, che potesse da un lato valutare lo stato di conservazione della specie nell’area della Riserva naturale regionale Lago di Tarsia e dall’altro indicare le strategie di conservazione e di tutela da realizzare nel breve e medio periodo, compresa un’azione di reintroduzione al fine di ricolonizzare un territorio dove in passato la specie era regolarmente presente ed infine promuovere e monitorare gli interventi, da esportare su scala regionale.

 

Il progetto Ululone nella Riserva naturale regionale Lago di Tarsia

 

Il Progetto: “Studio, conservazione, tutela e mantenimento delle popolazioni di Ululone appenninico (Bombina pachypus) nella Riserva naturale regionale Lago di Tarsia attraverso azioni dirette di conservazione e ripristino degli habitat, di reintroduzione e di ripopolamento della specie in pericolo e di informazione e divulgazione”, è stato finanziato dalla Regione Calabria – Dipartimento Ambiente e Territorio con Decreto del Dirigente Generale n. 2771 del 14.03.2017 e si è prefissato, in linea con le politiche e le strategie messe in atto dalla Commissione Europea, dall’Italia e dalla Regione Calabria, l’obiettivo di realizzare una serie di attività finalizzate alla conservazione degli habitat e alla reintroduzione della specie.

 

L’intervento progettuale proposto dall’Ente gestore delle Riserve naturali regionali del Lago di Tarsia e della Foce del Crati, approvato e finanziato dalla Regione Calabria nell’ambito del Programma Operativo Calabria FESR-FES, Programma di Azione Ambiente 2014-2020, Azione 6.5.A.1, Sub-Azione 2, prende avvio con il “Protocollo di Intesa per la replicazione di buone pratiche LIFE a scala regionale”, sottoscritto tra Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Direzione generale per lo Sviluppo Sostenibile, per il Danno Ambientale e per i Rapporti con l'Unione Europea e il Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Calabria, si è sviluppato nelle seguenti fasi:

  • il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per lo Sviluppo Sostenibile, attraverso il progetto “Rete ambientale”, finanziato nell’ambito del Programma di Azione Coesione Complementare al PON Governance e Assistenza Tecnica (FESR) 2007-2013, ha raccolto le buone pratiche in campo ambientale sviluppate anche nell’ambito del Programma LIFE, al fine di garantire la conoscenza e la diffusione di buone pratiche;
  • il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione generale per lo Sviluppo Sostenibile ha trasmesso alla Regione Calabria il documento “Set di buone pratiche LIFE per la Regione Calabria” contenente l’elenco dei progetti LIFE che possono essere replicati su scala regionale e tra questi il Progetto LIFE ARUPA, riguardante azioni di conservazione e tutela di anfibi e rettili del Parco naturale regionale della Murgia Materana;
  • la Regione Calabria – Dipartimento Ambiente e Territorio - ha segnalato l’interesse, attraverso l’impiego di risorse a valere sul POR Calabria FESR FSE 2014-2020, per la replicabilità degli interventi e per il Progetto proposto dall’Ente gestore delle Riserve Tarsia-Crati, finalizzato ad “Azioni di tutela conservazione e valorizzazione dell’Ululone appenninico (Bombina pachypus) nella Riserva naturale regionale Lago di Tarsia;
  • nell’ambito della collaborazione, la coerenza delle azioni da intraprendere è stata confermata nel corso di alcuni incontri finalizzati alla valutazione della replicabilità delle azioni del Progetto LIFE ARUPA, svoltisi il 25 e 26 luglio 2016 a Matera, presso la sede dell’Ente Parco naturale regionale della Murgia Materana, a cui hanno partecipato i rappresentanti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Direzione generale per lo Sviluppo Sostenibile; del Dipartimento Ambiente - Settore Parchi e Aree Naturali Protette della Regione Calabria; delle Riserve naturali regionali del Lago di Tarsia e della Foce del fiume Crati e i partner dei progetti LIFE ARUPA e PRIME e il 29 novembre 2016, presso la Riserva regionale Lago Tarsia, dove vi hanno preso parte i rappresentanti del Ministero dell’Ambiente; della Regione Calabria – Settore Parchi ed Aree Naturali Protette; del Parco naturale regionale della Murgia Materana e delle Riserve naturali Lago di Tarsia – Foce del fiume Crati;
  • la Regione Calabria – Dipartimento Ambiente e Territorio nell’ambito del programma Operativo Regionale 2014-2020 Fondo Europeo di Sviluppo Regionale ha promosso il Programma di Azione Ambiente 2014-2020 per l’Attuazione delle Azioni 6.5.A.1 e 6.6.1;
  • il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione generale per lo Sviluppo Sostenibile e la Regione Calabria – Dipartimento Ambiente e Territorio sono giunti alla sottoscrizione di un Protocollo di Intesa per la replicazione di buone pratiche LIFE a scala regionale e tra queste l’intervento riguardanti azioni di tutela e conservazione di Bombina pachypus, proposto dall’Ente gestore delle Riserve del Lago di Tarsia e della Foce del fiume Crati.

 

Per l’attuazione degli interventi progettuali l’Ente gestore delle Riserve ha costituito un apposito Gruppo di lavoro composto da personale dell’Ente ed esperti esterni, che si è avvalso del supporto scientifico convenzionato dell’Università degli Studi della Calabria – Dipartimento di Ecologia, Biologia e Scienze della Terra.

 

Obiettivi del Progetto

 

Il progetto si è proposto di favorire la reintroduzione della specie e la conservazione di siti idonei attraverso le seguenti azioni:

  • censimento e monitoraggio delle popolazioni della Riserva Lago di Tarsia finalizzati a verificarne la presenza/assenza, lo status di conservazione e la diversità genetica;
  • individuazione dei siti idonei ad accogliere interventi di reintroduzione;
  • interventi di reintroduzione;
  • censimento, monitoraggio e valutazione delle popolazioni delle aree da dove prelevare gli individui riproduttori;
  • valutazione delle minacce e dello status mediante analisi sanitarie degli esemplari presenti;
  • realizzazione Studio di fattibilità redatto ai sensi del DPR 357/97 e ss. mm. e ii., finalizzato alle autorizzazioni di cattura, allevamento ex-situ e rilascio in natura degli individui per il ripopolamento;
  • realizzazione e gestione di un Centro di Allevamento in cattività;
  • censimento e monitoraggio dei siti di ripopolamento, anche attraverso attività di analisi ambientale;
  • ripristino e conservazione di siti idonei;
  • mantenimento dei siti idonei;
  • monitoraggio a lungo termine degli effetti dell’intervento;
  • disseminazione dei risultati attraverso attività di educazione, informazione e sensibilizzazione ambientale.

 

Lo studio di fattibilità

 

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (oggi Ministero della Transizione Ecologica), al fine di autorizzare gli interventi progettuali e tra questi la creazione di un Centro di Allevamento ex-situ, ha inteso valutare un programma di attività integrato attraverso uno studio di fattibilità, redatto ai sensi del DPR 357/97 e ss. mm. e ii., che ha analizzato i seguenti aspetti.

 

Censimento e monitoraggio delle popolazioni della Riserva Lago di Tarsia finalizzati a verificare la presenza/assenza della specie e lo status di conservazione

 

Interventi di censimento e monitoraggio delle popolazioni della Riserva Lago di Tarsia sono stati necessari per verificare la presenza e lo status di conservazione della specie ed acquisire maggiori informazioni sulla fenologia e l’ecologia, soprattutto, in quei siti dove è stata accertata e segnalata in passato dall’Ente Riserve e dall’Unical, attraverso monitoraggi distinti.

 

I dati sulla presenza della specie nel territorio della Riserva Lago di Tarsia sono riferiti a segnalazioni da parte dell’Unical (1999) e dell’Ente gestore delle Riserve (2001), con stazioni localizzati sul confine della Riserva.

 

Come detto in precedenza, negli ultimi anni non era stata rilevata e non si avevano informazioni specifiche circa la sua distribuzione nell’area. In particolare non si avevano più osservazioni in almeno due stazioni localizzate lungo il confine perimetrale della Riserva.

 

A livello regionale tra i principali fattori di minaccia si evidenziano la distruzione degli habitat riproduttivi, le captazioni idriche, la manutenzione/restauro di cibbie, fontane e abbeveratoi, soprattutto, nel periodo riproduttivo e il calpestio del bestiame in abbeverata.

 

L’area presa in considerazione per il monitoraggio è quella che coincide con la Riserva naturale regionale e ZSC Lago di Tarsia e le relative aree contigue.

 

La raccolta dei dati relativi al monitoraggio della fauna e della flora è un’attività continua svolta dall’Ente gestore delle Riserve ed è finalizzata a monitorare lo stato di conservazione delle due zone umide oggetto di tutela.

 

Il monitoraggio e controllo di questi siti è di fondamentale importanza per pianificare interventi di gestione volti a favorire il recupero ed il ripristino di aree ad elevato potenziale ecologico ed al mantenimento o eventuale ritorno di specie autoctone tipiche degli ambienti considerati.

 

Per avere un quadro completo della presenza di questo anfibio nella Riserva e ZSC Lago di Tarsia, sono stati utili ed esaustivi anche dati raccolti in anni precedenti.

Nelle aree considerate ai fini della ricerca sono state individuate delle stazioni di rilevamento coincidenti con zone umide che rappresentano potenziali siti in grado di ospitare la specie.

 

I dati raccolti per ogni sito censito sono stati trascritti su apposite schede di campo e, successivamente, trasferite su supporto informatico.

 

Le stazioni di rilevamento sono state scelte sulla base di dati preliminari sulle preferenze ecologiche della specie in modo da ottimizzare al meglio il lavoro, concentrando l’attività di ricerca in quei siti potenzialmente idonei di cui si avevano dati storici sulla presenza.

 

A seguito di un accurato monitoraggio presso i potenziali siti di presenza della specie nella Riserva Lago di Tarsia e nelle aree contigue, pur avendo individuato e monitorato diversi siti idonei ad ospitarla, non ci sono state segnalazioni circa la presenza della stessa.  Pertanto, come previsto dalle attività progettuali, si è proceduto all’individuazione di popolazioni idonee in altre aree della Calabria, dalle quali prelevare gli individui fondatori per le attività di ripopolamento.

 

Tutto ciò è stato realizzato dopo regolari autorizzazioni in deroga al DPR 357/97 e ss. mm. e ii., rilasciate dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, dietro parere di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e seguendo le prescrizioni previste dal Protocollo di manipolazione della specie oggetto di intervento, al fine di evitare contaminazioni tra le diverse popolazioni per eventuale chitridiomicosi.

 

Monitoraggio dei siti da cui prelevare i riproduttori

 

Le metodologie di campionamento utilizzate, al fine di rilevare la presenza e la consistenza delle popolazioni da cui effettuare il prelievo degli individui riproduttori, sono state quelle normalmente in uso per la specie d’interesse:

 

Il monitoraggio dei siti è stato attuato tramite la strategia di site-occupancy (in cui un numero fisso di siti viene visitato almeno tre volte nella stessa stagione), al fine di valutare la presenza e l'osservabilità della specie. Per ottenere una raccolta dati robusta e, per quanto possibile, standardizzata sono state adottate le schede di monitoraggio conformi con le recenti linee guida fornite da ISPRA e, in particolare, dalle metodologie di indagine indicate dalla Societas Herpetologica Italica (SHI).

 

Individuazione delle popolazioni idonee da cui prelevare i riproduttori

 

Le attività progettuali hanno visto realizzare un’accurata campagna di censimento per il monitoraggio delle popolazioni già note e per l’individuazione di eventuali nuovi siti di presenza; ciò ha permesso di avere un quadro piuttosto esaustivo ed attendibile della situazione al fine anche di selezionare i siti più idonei da cui prelevare gli esemplari che hanno fatto da riproduttori.

 

Ai fini delle azioni previste dal progetto sono stati impiegati individui adulti in età riproduttiva idonei (controllati dal punto di vista sanitario) provenienti da popolazioni sane e numericamente stabili e consistenti, localizzate nell’area del Pollino e della Catena Costiera.

 

Al prelievo presso le suddette popolazioni si è giunti dopo accurate indagini di campo mediante sopralluoghi e monitoraggi specifici da parte del personale dell’Ente gestore e su indicazioni, per alcuni siti, da parte del personale della Sezione di Erpetologia del DiBEST dell’UNICAL. Le indagini ed i monitoraggi hanno consentito di stabilire che le popolazioni avessero una consistenza numerica tale per cui il prelievo degli individui fondatori non compromettesse la stabilità della stessa.

 

Individuazione delle aree di reintroduzione della specie

 

Le approfondite conoscenze del territorio della Riserva e ZSC Lago di Tarsia da parte dell’Ente gestore delle Riserve Amici della Terra, contestualmente alle verifiche e ai sopralluoghi effettuati con adeguati monitoraggi, hanno consentito di individuare i siti idonei ad ospitare gli esemplari da rilasciare durante le operazioni di ripopolamento.

 

In-situ si è proceduto all’individuazione dei siti idonei e alle relative valutazioni ecologiche per gli interventi di reintroduzione della specie.

 

Le attività realizzate hanno previsto dei monitoraggi “su campo” all’interno del perimetro della Riserva e ZSC Lago di Tarsia e anche nell’area contigua privilegiando i siti identificati quali luoghi umidi idonei e presso i quali sono state effettuate accurate indagini su tutti gli aspetti ecologici che li caratterizzano.

 

In particolare, sono state valutate in maniera dettagliata le caratteristiche riguardanti:

 

I siti risultati idonei ad ospitare la specie sono stati oggetto di interventi conservativi e gestionali di ripristino, sistemazione e mantenimento della costante presenza di acqua.

 

Adozione Protocollo Centro Allevamento ex-situ

 

Per quanto concerne le azioni di reintroduzione e di ripopolamento all’interno dell’area della Riserva con individui nati in cattività, le azioni previste sono in linea con le direttive nazionali e internazionali sul tema (AA.VV., 2007; Griffiths e Pavajeau, 2008; Poole e Grow, 2012).

 

L’obiettivo è stato quello di allevare/stabulare individui adulti riproduttori con i relativi girini e metamorfosati originati presso il Centro di Allevamento e, successivamente, reimmetterli in natura in appositi siti individuati e ripristinati.

 

Le attività di allevamento in condizioni controllate possono, infatti, garantire un maggiore successo riproduttivo, aumentando la percentuale di schiusa e la sopravvivenza larvale rispetto a quanto è stato osservato nei siti naturali (Mattoccia et al., 2006; Mirabile et al., 2009).

 

Per il mantenimento degli esemplari adulti è stato realizzato un apposito Centro di Allevamento come descritto nei successivi paragrafi.

 

La realizzazione del centro e le corrette pratiche per l’allevamento atto alla reintroduzione della specie sono state eseguite in conformità con i Protocolli previsti e adottando anche adeguamenti in itinere in base alle valutazioni del personale dell’Ente gestore delle Riserve, che ha seguito e monitorato costantemente l’evolversi delle attività riproduttive.

 

Nel Protocollo di allevamento approntato era stato previsto anche l’utilizzo di vasche/acquario finalizzate all’incubazione di ovature ed allevamento di girini e neometamorfosati fino ad uno stadio di sviluppo avanzato o comunque idoneo alla liberazione nei siti di ripopolamento.

 

Tale aspetto però è stato accantonato in quanto il Centro di Allevamento così come predisposto ed allestito dall’Ente gestore delle Riserve, con la particolare tipologia di recinti e vasche messi in opera, ha dato immediato esito positivo con ottimi risultati dal punto di vista dell’attività riproduttiva, da subito avviata da parte dei soggetti fondatori. Pertanto, l’avvio delle deposizioni di consistenti ovature ed il positivo evolversi delle successive fasi di metamorfosi, ha indirizzato la scelta verso la procedura di allevamento ex-situ nei recinti e vasche così come progettati e realizzati dall’Ente gestore delle Riserve

 

Adozione Protocollo Chitridio (Chytrid Swab Protocol)

 

Per quanto riguarda l’individuazione di eventuali contaminazioni da chitridiomicosi è stato adottato il protocollo per come di seguito descritto.

 

Materiale occorrente:

 

Procedura:

gli individui oggetto del prelievo sono stati catturati con l’ausilio di un retino, precedentemente sterilizzato, o con le mani indossando guanti in vinile diversi per ogni singolo esemplare manipolato.

Per ciascun individuo è stato eseguito il tampone utilizzando la tecnica indicata dal protocollo e consistente nel tamponare la parte inferiore o ventrale di adulti/ metamorfosati per 30 volte. Il fine è stato quello di raschiare dalla pelle piccole quantità di tessuto usando una leggera pressione. Le aree tamponate sono state la parte bassa del ventre, la zona inguinale, le cosce e la membrana tra le dita.

 

Subito dopo il prelievo, il tampone è stato inserito e sigillato nell’apposito flacone e quest’ultimo, etichettato con i dati biometrici dell’esemplare, della data, ora e luogo del prelievo e rapidamente conservato in congelatore.

 

Durante ogni prelievo, inoltre, sono state verificate attentamente, se presenti, eventuali malformazioni e lo stato sanitario e di salute generale degli individui.

 

Tutto il materiale e le attrezzature utilizzati sono stati oggetto di procedura di pulizia e disinfezione sistematiche e adeguate, soprattutto quando si sono effettuate visite in siti diversi.

 

Per disinfettare le attrezzature è stato utilizzata una soluzione di alcool al 70%.

 

Attività ex-situ

 

Realizzazione Centro di Allevamento

 

Il Centro di Allevamento, localizzato nel Comune di Tarsia (Cs), su un terreno concesso in comodato dall’Amministrazione comunale all’Ente gestore delle Riserve, è stato progettato per essere dotato di n° 4 recinti con relative vasche in cemento, rappresentativi di n° 4 settori di riproduzione con individui provenienti da prelevamenti in aree diverse.

 

Dei quattro recinti, due hanno dimensioni maggiori (mt. 4 x mt. 2) e sono stati identificati come settori AB e DE dotati di due vasche in cemento, mentre gli altri due sono di dimensioni minori (mt. 2 x mt. 2) e sono stati identificati come settori C e F dotati, di una sola vasca in cemento.

 

Le vasche in cemento sono di dimensioni di cm 80 x cm 80 e la profondità è di cm 40. Le stesse sono state interrate fino al livello della superficie del terreno. La scelta del materiale per le vasche è ricaduta sul cemento in quanto, oltre alle caratteristiche di contenimento dell’acqua, presenta anche una leggera porosità che garantisce un minimo scambio con il terreno circostante e ciò favorisce la naturalizzazione delle vasche stesse. A tal proposito, per accelerare il processo di naturalizzazione, è stato depositato sul fondo delle vasche uno strato di terreno opportunamente prelevato in zone umide dell’area del Lago di Tarsia. Su tale substrato sono state interrate piante tipiche della vegetazione acquatica del luogo (Phragmites australis, Tipha latifolia, Carex spp., Chara spp., Potamogeton), inoltre il terreno circostante le vasche, all’interno dei recinti, è stato piantumato con vegetazione erbacea spontanea del luogo.

 

La struttura dei recinti è stata realizzata con pali in legno, ai quali è stata affissa una rete plastificata a maglia piccola, ulteriormente affiancata da rete zanzariera. Quest’ultimo accorgimento al fine di scongiurare eventuali fughe di piccoli esemplari neometamorfosati in grado di arrampicarsi. Il tutto sormontato da altra rete plastificata con maglie di dimensioni tali da garantire comunque l’ingresso di piccoli insetti utili per il nutrimento degli ululoni. Le parti di recinto maggiormente esposte al sole sono state protette con rete ombreggiante.

 

L’allevamento in cattività ha avuto sin da subito un esito molto positivo. Se si considera infatti l’aspetto del trasferimento degli individui riproduttori dai loro siti di naturale presenza ad un nuovo sito con condizioni diverse, i risultati ottenuti in termini di risposta di adattamento sono stati ottimali. La dimostrazione di ciò è anche il buon andamento riproduttivo, la cui attività si è manifestata in tempi brevi dall’immissione.

 

Il rilevamento delle prime ovature risale ad inizio agosto 2018 a carico dei riproduttori presenti nel Settore C provenienti dall’area del Pollino.

 

Successivamente si sono susseguite deposizioni anche per il settore A-B con fondatori provenienti dall’area della Catena Costiera Settentrionale e del Settore D - E con riproduttori dell’area della Catena Costiera meridionale.

 

Le ovature sono state osservate per tutto il mese di agosto 2018. In seguito, un’altra segnalazione di ovature è stata effettuata nella seconda metà del mese di ottobre con dati di rilevamento al 26 ottobre 2018.

 

La realizzazione delle vasche e la naturalizzazione delle stesse si è dimostrata subito efficace sia come habitat che come disponibilità di cibo. Infatti, all’interno di ogni recinto si è venuto a creare un “microecosistema” che ha favorito, oltre alla stabilizzazione degli individui riproduttori, anche una buona presenza di fauna invertebrata, sia nelle vasche che nel suolo e vegetazione circostante, determinando, quindi, anche una fonte di nutrimento fruibile dagli ululoni.

 

La presenza costante del personale dell’Ente gestore delle Riserve ha consentito di tenere sotto controllo l’andamento ecologico all’interno dei recinti e degli individui presenti, intervenendo prontamente per ogni circostanza resasi eventualmente necessaria (livello dell’acqua nelle vasche, presenza di fonte di nutrimento, ecc).

 

La buona naturalizzazione delle vasche ha garantito condizioni idonee allo sviluppo dei girini, sia dal punto di vista delle condizioni ecologiche generali che di quelle alimentari. Gli aspetti negativi hanno riguardato la presenza di alcune larve di libellula che, grazie al costante monitoraggio, sono state prontamente rimosse.

 

Inoltre, per limitare tale impatto si è proceduto alla copertura totale dei recinti contenenti le vasche con rete in plastica a maglia rettangolare più piccola che impedisse l’ingresso di grossi insetti come le libellule adulte ma garantisse l’accesso di altre specie importanti per il nutrimento degli ululoni.

 

Attività in-situ

 

Azioni di ripristino e conservazione di siti idonei ad ospitare i rilasci

 

Gli interventi di conservazione a carico dei siti prescelti hanno riguardato il rispristino, la sistemazione, la pulizia e la manutenzione di abbeveratoi-fontanili in località “Vernicchio” e “Acqua della Corte”, entrambi situati in aree contigue alla Riserva e ZSC Lago di Tarsia e ricadenti nel territorio del comune di Tarsia.

 

Presso tali siti sono stati effettuati interventi conservativi e di pulizia senza alterare l’equilibrio ecologico degli stessi e cercando di garantire le condizioni di vita idonee alle diverse fasi di sviluppo della specie. Successivamente è stato reso idoneo ad ospitare la specie un terzo sito situato in località “Pellizzari”, ricadente all’interno del perimetro della Riserva e ZSC Lago di Tarsia e interamente localizzato nel territorio del comune di Santa Sofia d’Epiro.

 

I primi due siti di rilascio prescelti per le attività di ripopolamento, come già detto, sono ubicati entrambi nel territorio del comune di Tarsia, rispettivamente alle località “Vernicchio” e “Acqua della Corte”. Il primo rappresenta il sito dove nell’anno 2001 si è verificato l’ultimo avvistamento di Ululone appenninico.

 

Entrambi i siti sono rappresentati da tipici fontanili con abbeveratoio, alimentati da storiche sorgenti spontanee che erano utilizzate dalla popolazione locale, sia come fonte per uso umano e sia, soprattutto, come abbeveratoi per gli animali al pascolo, che in passato popolavano in modo consistente questi territori. In particolare nel periodo estivo, nel tipico arido territorio collinare del luogo, rappresentavano una fonte di acqua indispensabile per la popolazione rurale ed i loro animali. Sono, infatti, sorgenti che ancora oggi sgorgano costantemente in tutte le stagioni, sia pure con una certa diminuzione in estate.

 

Gli abbeveratoi, rappresentati da vasche in cemento, ormai poco o nulla utilizzati come fonte per gli animali, sono caratterizzati da una ricca presenza, al loro interno, di alghe e vegetazione acquatica, nonché di fauna invertebrata tipica di questi ambienti presenti in fase larvale e adulta a seconda del gruppo considerato (cladoceri, ditteri, chironomidi, coleotteri, linneidi, molluschi).

 

Per quanto riguarda le altre specie di anfibi si segnala soltanto la Rana verde minore (Pelophylax kl. hispanicus) e, nei primi sopralluoghi effettuati, un esemplare di Natrice dal collare (Natrix helvetica) presso il sito “Vernicchio”, subito catturato e traslocato in altro sito idoneo. La Natrice dal collare è un vorace e attivo predatore di anfibi.

 

Il sito di ripopolamento nel territorio della Riserva naturale regionale del Lago di Tarsia è ubicato in località “Pellizzari” del comune di Santa Sofia d’Epiro ed è rappresentato da una zona umida che si origina a valle di un impluvio naturale tra due versanti collinari posti alla destra idrografica del bacino del Crati, all’interno del territorio della Riserva naturale regionale Lago di Tarsia.

 

La parte terminale di questo canale naturale genera una forra umida con ricca vegetazione arborea ed erbacea tipica del luogo (Quecus ilex, Quercus pubescens, Carpinus orientalis, Phillyrea latifolia, Pistacia lentiscus, Crataegus monogina, Carex spp., Erica spp.).

 

Altra specie di anfibio rilevata è la Rana appenninica (Rana italica), che è una presenza stabile in tale sito anche con attività riproduttiva.

 

La presenza di acqua è garantita dallo scorrimento superficiale e, in parte, anche sotterraneo a poca profondità, che si ha per gran parte dell’anno. L’Ente gestore, in tale sito, nell’ambito dei lavori di ripristino dei siti idonei per il ripopolamento previsti in progetto, ha realizzato 4 pozze artificiali in cemento che, opportunamente posizionate ed interrate, garantiscono la presenza di acqua anche nel periodo di siccità estiva. La corretta ubicazione delle pozze, effettuata lungo il canale di scorrimento dell’acqua, e gli interventi di naturalizzazione delle stesse, mediante idoneo substrato terroso e tipica vegetazione acquatica, hanno favorito la creazione di un habitat idoneo che i giovani rilasciati hanno prontamente colonizzato.

 

Monitoraggio ambientale e sanitario degli habitat oggetto di intervento

 

A seguito del successo riproduttivo in cattività, girini e metamorfosati sono stati trasferiti nei siti ritenuti idonei e questi ultimi monitorati, tra l’altro, anche dal punto di vista ambientale, nei quali è stata preventivamente verificata l’assenza di patogeni e la valutazione di alcuni principali parametri idonei a stabilire la qualità delle acque.

 

I siti di reintroduzione sono stati oggetto di una costante osservazione al fine di valutare lo status della popolazione nelle aree di immissione e lo stato di salute e il successo riproduttivo delle popolazioni stesse.

 

La buona naturalità dei siti ha inciso positivamente sul successo delle attività di ripopolamento e sulla presenza di individui a seguito dei rilasci. Le perdite riscontrate a carico di alcuni individui rilasciati, potrebbero ascriversi a eventi di predazione esercitati su girini e giovani.  Essendo questa una variabile abbastanza difficile da definire, trattandosi anche di prede rappresentate da larve di insetti, deve considerarsi come un fattore di rischio imprevedibile.

 

Si escludono, invece, perdite di individui dovute a alterazioni o inquinamenti sulla componente acquatica dei siti essendo stati effettuati, da parte dell’Ente gestore delle Riserve, campionamenti periodici per la valutazione della qualità delle acque. Gli stessi campionamenti sono stati effettuati anche sulle vasche del Centro di Allevamento.

 

Sono stati analizzati i principali parametri chimico/fisici di base, mediante il Misuratore multiparametro professionale, che forniscono indicazioni su eventuali alterazioni a carico della matrice acquosa che in questo caso, nelle vasche del Centro di Allevamento e dei siti di ripopolamento, ospita gli individui e le relative fasi del ciclo riproduttivo.

 

Dagli esiti delle predette analisi non sono state riscontrate emergenze e/o alterazioni significative, per come si evince dai grafici che riportano i risultati dei parametri analizzati nei diversi campionamenti periodici effettuati.

 

Infatti, temperatura, Ph, conducibilità elettrica, solidi totali disciolti, ossigeno disciolto, non mostrano situazioni di criticità e rientrano nei limiti di tolleranza per le comunità viventi.

 

Determinazione della presenza di Batrachochytrium dendrobatidis

 

Per valutare lo stato sanitario delle popolazioni ed evitare la diffusione di patologie emergenti, quali la chitridiomicosi, è stato eseguito sugli individui fondatori prelevati nei siti individuati, uno screening con appropriate indagini molecolari (Canessa et al., 2017) per verificare la presenza/assenza del fungo patogeno Batrachochytrium dendrobatidis.

 

L’analisi è stata eseguita presso il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università di Genova.

 

I campioni sono stati tutti analizzati con RT-PCR utilizzando il metodo Sybr-Green (Canessa et al., 2017).

 

La curva di taratura è stata ottenuta tramite gli standard di DNA fungino di Batrachochytrium dendrobatidis (Bd) fornito dal Prof. Frank Pasmans (Ghent University), di cui si riporta in figura 1 un esempio.

 

Il metodo permette una quantificazione accurata del DNA presente in ciascun estratto di anfibio che è stato analizzato in doppio (due misure indipendenti su due provette provenienti dallo stesso tampone).

 

Tutti i campioni analizzati sono risultati negativi per la Chitridiomicosi da Batrachochytrium dendrobatidis.

 

Prelievo coppie di riproduttori da destinare al Centro di Allevamento

 

A seguito delle indagini di campo nel territorio della Riserva naturale regionale del Lago di Tarsia ed aree contigue e al mancato ritrovamento di popolazioni di Ululone appenninico, il prelievo dei fondatori è stato effettuato presso popolazioni idonee rinvenute in altre aree.

Le operazioni sono state effettuate dopo regolari autorizzazioni in deroga al DPR 357/97 e ss. mm. e ii. dal Ministero dell’Ambiente e della TTM (oggi MiTE) dietro parere di ISPRA.

 

In particolare sono stati prelevati individui di popolazioni ricadenti in tre aree della provincia di Cosenza:

 

  • Parco Nazionale del Pollino con prelievo di n° 2 individui;
  • Catena Costiera settentrionale con prelievo di n° 4 individui;
  • Catena Costiera meridionale con prelievo di n° 4 individui.

 

Le popolazioni presentavano una consistenza tale da non arrecare danno al mantenimento della stessa con il prelievo degli esemplari suddetti.

 

Seguendo le prescrizioni previste dal protocollo di manipolazione della specie oggetto di intervento, al fine di evitare contaminazioni tra le diverse popolazioni (chitridiomicosi) sono state eseguite le operazioni di inserimento nelle vasche allestite nei 4 settori di allevamento, come dettagliatamente descritto nella sezione specifica relativa al Centro ex-situ, degli individui fondatori tra il 2 ed il 9 agosto 2018, come segue:

 

1) Settore A -B

  • Provenienza soggetti riproduttori Catena Costiera Settentrionale, n° 4 adulti riproduttori n° 2 maschi e n° 2 femmine;

2) Settore C

  • Provenienza soggetti riproduttori Parco Nazionale del Pollino, n° 2 adulti riproduttori maschio e femmina;

3) Settore D - E

  • Provenienza soggetti riproduttori Catena Costiera Meridionale n° 4 adulti riproduttori, di cui n° 2 maschie e n° 2 femmine.

 

Rilascio di giovani, metamorfosati e girini in avanzato stadio di sviluppo all’interno dei siti predisposti

 

A seguito del buon andamento riproduttivo ottenuto presso il Centro di Allevamento, realizzato e gestito dall’Ente gestore delle Riserve, al primo anno dall’inserimento dei fondatori sono state avviate le operazioni di rilascio, nei siti prescelti per il ripopolamento in-situ, di girini e giovani metamorfosati. Sono stati prelevati dai recinti del Centro di Allevamento larve a stadi avanzati di sviluppo e soprattutto giovani metamorfosati per i quali, dopo la metamorfosi è stato possibile effettuare l’operazione di identificazione dell’individuo mediante fotografia del pattern ventrale.

 

Per ogni intervento di rilascio si è proceduto ad effettuare un accurato conteggio dei girini e dei giovani metamorfosati ed a prelevare quegli individui ritenuti idonei, lasciando nelle vasche dei recinti del Centro, quelli per i quali non era possibile definire il pattern ventrale o perché necessaria un ulteriore fase di sviluppo in cattività.

 

Le operazioni di rilascio sono avvenute come di seguito elencato:

 

Sito ripopolamento località “Vernicchio” Tarsia (Cs)

I rilasci effettuati nel sito “Vernicchio” nel 2019 e 2020 sono stati pari a 158. Di questi 95 girini e 47 metamorfosati e 16 giovani.

 

Sito ripopolamento località “Acqua della Corte” Tarsia (Cs)

I rilasci effettuati nel sito “Acqua della Corte” nel 2019 e 2020 sono stati pari a 96. Di questi 29 girini, 5 metamorfosati, 47 giovani e 15 subadulti.

 

Sito ripopolamento località “Pellizzari” Area Riserva Lago di Tarsia – S. Sofia d’Epiro (Cs)

I rilasci effettuati nel sito “Pellizzari” nel 2020 e 2021sono stati pari a 49. Di questi 7 girini, 11 metamorfosati, 24 giovani, 4 subadulti e 3 adulti.

 

Nel triennio 2019-2021 sono stati rilasciati nei siti appositamente recuperati e predisposti n. 131 girini, n. 63 metamorfosati, 87 giovani, 19 subadulti e 3 adulti per un totale di 303 individui.

 

Studio demografico sui rilasci

 

Le traslocazioni, unitamente a programmi di captive breeding, rappresentano un promettente ma anche discusso strumento di conservazione e gestione per alcune specie di anfibi. L’efficacia di tali programmi può dipendere da molteplici fattori quali condizioni di allevamento ex-situ, protocollo di rilascio e caratteristiche dei siti di rilascio; un progetto di reintroduzione può essere ritenuto di successo quando si traduce in una popolazione autosufficiente, ossia vitale e con un tasso di crescita demografica ≥ 1.

 

I siti di reintroduzione e gli individui di Bombina pachypus traslocati sono oggetto di un monitoraggio post-rilascio al fine di valutare lo status delle nuove popolazioni nelle aree di reimmissione e la loro capacità di autosostenersi. L’obiettivo è quello di eseguire sul lungo termine studi demografici che, oltre a garantire una verifica del successo nelle azioni di reintroduzione, possa permettere la raccolta di preziosi dati utili ai fini conservazionistici e gestionali.

 

Le popolazioni costituite sono oggetto di attività di monitoraggio post-rilascio con il metodo di cattura-marcatura-ricattura (CMR). Questo metodo è ampiamente utilizzato negli studi faunistici per la raccolta di parametri di popolazione e stima delle dinamiche demografiche.

 

Il metodo prevede tre fasi di lavoro in campo:

  1. cattura (ossia scelta degli individui, nati nel Centro di Allevamento, idonei al rilascio);
  2. marcatura (ossia fotomarcatura del pattern ventrale) e rilascio;
  3. diversi eventi (occasion) di cattura nel corso della stagione idonea negli anni di monitoraggio post-rilascio durante i quali si possono effettuare:

 

Durante le attività svolte dal gruppo Unical è stato applicato un protocollo di campionamento standardizzato (e.g. 3 sessioni di cattura di 20 minuti con 4 operatori), perlustrando attentamente, anche con l’ausilio di retini, l’abbeveratoio-fontanile, le vasche e le aree circostanti. Le visite ai siti sono avvenute nelle ore centrali della giornata, dalle 10 alle 14 circa. Gli animali sono stati catturati e fotografati, misurati (lunghezza muso-urostilo, LMU, e massa) e, se inequivocabile, è stato stabilito il sesso (i.e. presenza di calli nuziali sugli avambracci dei maschi) (Figura 1).

Per minimizzare lo stress da cattura gli individui sono stati manipolati nel più breve tempo possibile e rispettando le prescrizioni sanitarie.

 

Durante i rilievi, sul foglio di campo, sono state annotate le seguenti informazioni:

 

Gli ululoni appenninici, in base alle osservazioni raccolte nel corso dello studio, sono stati assegnati ad una delle 4 classi di età riportate in tabella 1, tenendo conto della LMU ed indicativamente dell’anno di nascita nel Centro di Allevamento ululoni.

 

Le osservazioni e i dati raccolti durante le attività nei siti di reintroduzione svolte fino al 31 luglio 2021, sia da parte del gruppo di ricercatori Unical che dal personale dell’Ente gestore delle Riserve, sono stati raccolti e organizzati in un database con le informazioni sui rilasci, i censimenti, le catture-ricatture e le misure biometriche degli animali. Il gruppo Unical, inoltre, ha predisposto, implementato e gestito l’archivio fotografico del pattern ventrale per lo studio di CMR degli animali fotomarcati, rilasciati nei diversi siti, e di volta in volta catturati o ricatturati. Il database è organizzato in immagini identificative e relativi file accessori secondo le procedure richieste dal software I3S Pattern+. Nello specifico, il programma I3S Pattern+ consente di confrontare rapidamente l’immagine acquisita di un individuo con tutte quelle memorizzate in precedenza ed inserite all’interno del database. Quando una nuova immagine viene elaborata, I3S Pattern+ determina dei punti chiave nel pattern, estraendo una fingerprint (Figura 2) ovvero un’impronta digitale univoca, che viene inserita all’interno del database. Alla fine del processo, il software affianca la nuova immagine e tutte le possibili corrispondenze, classificate in base ad un aumento del punteggio di dissomiglianza (un punteggio pari a 0.00 indica un matching perfetto) (Figura 3). Se il pattern messo a confronto non coincide con nessuno di quelli presenti nel database, viene inserito nella banca dati come nuova entry.

 

La periodicità e la standardizzazione nella raccolta del dato sono requisiti fondamentali dei metodi a ricattura multipla. I modelli matematici che permettono di stimare la sopravvivenza, la consistenza della popolazione e la crescita necessitano di un campione ampio e più eventi di cattura per delineare dei trend validi. Il prosieguo degli studi demografici, seguendo un ben definito protocollo, permetterà nel tempo di realizzare un’analisi mediante modelli statistici.

 

Con i dati disponibili al 30 luglio 2021 per ogni sito è stata realizzata una statistica descrittiva, che può fornire indicazioni utili sull’efficacia delle azioni di traslocazione, sulla sopravvivenza durante le fasi di stabilizzazione nel sito di rilascio, e soprattutto dei protocolli di rilascio; è infatti molto importante in queste prime fasi del progetto valutare come influiscono le diverse condizioni/scelte condotte sul successo di traslocazione (e.g. numero di individui rilasciati e frequenza di rilascio, età o stadio ontogenico al momento del rilascio).

 

Inoltre, l’analisi dei primi dati raccolti fornisce valide indicazioni su quale dei tre siti di rilascio presenti una maggiore qualità dell’habitat e offra condizioni ottimali, in base ai fattori abiotici e biotici, per il mantenimento a lungo termine delle neopopolazioni.

 

 

Analisi dei dati

 

AF1 - Vernicchio

 

Nell’abbeveratoio-fontanile di località Vernicchio (AF1), a giugno 2019, è stato effettuato il primo rilascio di 20 individui, nati nel Centro di Allevamento; il secondo rilascio è avvenuto in ottobre con 46 individui. Al termine della stagione idonea nel 2019 sono stati rilasciati individui nei seguenti stadi:

A luglio del 2020 è stato effettuato un terzo ed ultimo rilascio di 92 individui nei seguenti stadi:

In totale (Tabella 2), nei due anni, in AF1 sono stati traslocati 158 ululoni appenninici, di cui 63 sono stati fotomarcati al momento del rilascio.

 

Nel corso del 2019, sia durante le attività di rilascio che nelle visite di controllo eseguite dal personale dell’Ente, sono stati effettuati campionamenti nell’abbeveratoio-fontanile e nelle zone limitrofe per verificare la colonizzazione del sito (Tabella 3). Per evitare qualsiasi disturbo in questa prima fase, gli animali sono stati censiti a vista senza alcuna cattura e manipolazione per la raccolta di dati biometrici o foto del pattern ventrale.

 

Conteggi a vista

 

Per quanto riguarda i censimenti a vista compiuti dal personale dell’Ente nel corso dei tre anni (n visite = 20), sono stati osservati un minimo di 4 ed un massimo di 24 individui ripartiti secondo le diverse classi di età (Figura 4). Questi dati tuttavia sono indicativi, in quanto senza cattura e misurazione non si può essere certi dell’appartenenza di un individuo ad una determinata classe di età secondo la stadiazione stabilita nella Tabella 1.

 

CMR

 

Dal giugno 2020 al luglio 2021 sono state effettuate 7 giornate di cattura nel sito (5 nel 2020 e 2 nel 2021) dal Gruppo di ricerca Unical e dal personale dell’Ente gestore delle Riserve con il metodo di CMR. L’ottava sessione (in data 19/05/2021) è stata eseguita dall’Ente, che ha contato 17 individui giovani, contrassegnati in rosso, che non sono stati inseriti nel DB fotografico in quanto non è stato fornito foto del pattern ventrale utile all’identificazione, se non per 9 individui (Tabella 3). L’Ente ha scelto di non catturare tutti gli animali per non sottoporre a stress da manipolazione gli individui, in considerazione dell’attività riproduttiva. Pertanto, ai fini delle analisi mediante CMR, sono stati presi in considerazione esclusivamente i 9 animali catturati per i quali l’Ente ha trasmesso le immagini del pattern ottenendo quindi in totale 8 sessioni di cattura.

 

Considerando anche le ricatture (n = 123), le catture totali sono state 178, 117 nel 2020 e 61 nel 2021. Gli animali sono stati catturati da un minimo di una volta ad un massimo di 8 volte nel corso degli anni. Più in dettaglio, dei metamorfosati e giovani, marcati tramite fotografia del pattern ventrale, 13 animali (11 da rilasci 2019 e 2 da rilasci 2020) sono stati ricatturati almeno una volta nelle 8 sessioni (3 ricatturati 8 volte, 1 ricatturato 7 volte, 3 ricatturati 5 volte, 1 ricatturati 4 volte, 2 ricatturati 3 volte e 3 una sola volta) (Figura 5). Il sesso è stato stabilito con certezza solo per 9 animali adulti e alcuni subadulti per un totale di 3 maschi e 6 femmine. La sex ratio espressa come semplice rapporto MM/FF è pari 0,5.

 

Le nuove catture sono risultate 48; si tratta di individui catturati e marcati per la prima volta nel sito, rilasciati quindi come girini nel giugno 2019 e luglio 2020 (n = 95). Sono stati ricatturati in un’unica occasione 24 individui, due volte 10 individui, tre volte 4, quattro volte 3, cinque volte 2, sei volte 2, sette volte 2 ed un solo animale è stato catturato in tutte e 8 le occasioni di cattura (Figura 6).

Il successo di metamorfosi cumulativo nel sito è pari al 50,5%.

In base alla ripartizione degli animali in classi di età, le nuove catture risultano così suddivise:

Il sesso di questi animali è stato stabilito con certezza solo per gli individui adulti e alcuni subadulti per un totale di 6 maschi e 7 femmine. La sex ratio espressa come semplice rapporto MM/FF è pari 0,86.

 

Analisi dei dati biometrici

 

Individui marcati al rilascio

La statistica descrittiva per i parametri biometrici rilevati è riportata nei grafici e tabelle seguenti per gli individui marcati e rilasciati nel 2019 e successivamente ricatturati nel corso del 2020-2021. L’andamento della crescita in peso (Figura 9 e Tabella 4) e in lunghezza (Figura 10 e Tabella 5) viene rappresentato nei grafici seguenti per ogni singolo individuo nelle diverse visite al sito; nel nome inoltre è indicato lo stadio al momento del rilascio e all’ultima ricattura, seguito dal sesso, se distinguibile. Ad esempio, “1 Gio/Adu_M” indica lo stadio di rilascio (giovane), quello dell’ultimo rilevamento (adulto) e il sesso maschile. Il peso medio di questi animali è di 0,98 ± 0,54 (N = 11) al momento del rilascio 2019 e di 5,1 ± 0,9 (N = 6) a luglio 2021. La lunghezza media è invece di 21,8 ± 0,5 (N = 11) al momento del rilascio e di 40,2 ± 0,26 (N = 6) a luglio 2021.

 

Degli animali traslocati nel sito allo stadio di metamorfosato (n=3) e giovane (n=4) nel luglio 2020, come detto in precedenza, sono stati ricatturati in unica occasione (quella successiva al rilascio, circa 15 giorni dopo) solo due giovani con un peso ed una lunghezza pressoché simile a quella del rilascio, come si può notare nell’immagine in basso estratta dal database.

 

Nuove catture

Per quanto riguarda gli individui rilasciati come girini e metamorfosati nel sito, di seguito, è riportata la statistica descrittiva con il valore medio del peso e della lunghezza muso-urostilo (Tabella 6) nelle diverse occasioni di ricattura.

 

Nella tabella 7 e nei grafici 11 e 12 è riportato in dettaglio l’andamento della crescita di 10 individui che sono stati ricatturati più di 3 volte fino a luglio 2021.

 

Valutazione dei risultati ottenuti

 

In base all’analisi dei primi risultati appare evidente il buon successo delle attività di traslocazione in AF1. Lo studio tramite marcatura e ricattura evidenzia che vi è stata una maggiore sopravvivenza, ad oggi, negli individui rilasciati allo stadio di girini che sono metamorfosati nel sito e che, nella maggior parte dei casi, hanno raggiunto lo stadio di subadulto o adulto con dimensioni in linea con le biometrie note per la specie. Solo il 20,6% degli ululoni appenninici rilasciati allo stadio di metamorfosato/giovane è stato ricatturato nell’abbeveratoio-fontanile e nei dintorni. Non si può escludere che gli individui giovani, ad oggi non ricatturati, siano andati in dispersione.

 

La presenza di piccole ovature e girini nel mese di giugno 2021 rappresenta l’evidenza del raggiungimento della maturità riproduttiva della neopopolazione. Un ulteriore dato interessante è rappresentato dalla cattura a fine luglio 2021, di 7 neometamorfosati (peso medio 0,45 ± 0,07, LMU media 16,1 ± 0,12) ossia individui nati e metamorfosati nell’anno con successo nel sito di traslocazione.

 

Un quadro più completo si potrà ottenere con il prosieguo dello studio demografico nel sito con rilievi standardizzati ed il metodo di CMR, anche per stabilire con certezza il sesso degli individui ancora non identificabili e valutare quindi la presenza di un rapporto fra i sessi nella popolazione costituita equilibrato.

 

 

AF2 - Acqua della Corte

 

In AF2 a giugno 2019 è stato effettuato il primo rilascio di 21 individui, nati nel Centro di Allevamento; le attività di rilascio sono proseguite anche nei mesi di luglio e settembre. Al termine della stagione idonea nel 2019 sono stati rilasciati individui nei seguenti stadi:

A giugno 2020 è stato effettuato un quarto ed ultimo rilascio di 15 individui nei seguenti stadi:

In totale (Tabella 8) nei due anni in “AF2 - Acqua della Corte” sono stati traslocati 96 ululoni appenninici, di cui 67 sono stati fotomarcati al momento del rilascio.

 

Nel corso del 2019, sia durante le attività di rilascio che nelle visite di controllo eseguite dal personale dell’Ente, sono stati effettuati campionamenti nell’abbeveratoio-fontanile e nelle zone limitrofe per verificare la colonizzazione del sito (Tabella 9). Per evitare qualsiasi disturbo in questa prima fase, gli animali sono stati censiti a vista senza alcuna cattura e manipolazione per la raccolta di dati biometrici o foto del pattern ventrale. A luglio 2019 sono stati censiti 2 giovani, da rilascio nel mese di giugno, nei pressi del rigagnolo adiacente all’abbeveratoio. A settembre 2019 sono stati rinvenuti 5 subadulti tra i giuncheti e le raccolte d’acqua intorno all’abbeveratoio e 2 individui metamorfosati. Nonostante l’attenta perlustrazione dell’abbeveratoio non sono stati rilevati altri girini o individui in metamorfosi. È stata riscontrata la presenza, invece, di diversi individui di granchio di fiume (Potamon fluviatile); non si può escludere che la presenza di questo decapode possa aver avuto un impatto sulle larve di ululone e sui piccoli emersi. I conteggi, non utilizzabili ai fini dello studio di marcatura-ricattura, sono tuttavia indicativi della presenza a bassissima densità dell’ululone appenninico dopo le azioni di traslocazione.

 

In marzo e aprile 2020, il personale dell’Ente ha effettuato dei sopralluoghi durante i quali sono stati avvistati 2 e 3 individui subadulti, rispettivamente. Gli animali non sono stati fotografati e pertanto non è possibile la loro identificazione per lo studio di CMR. Durante questi sopralluoghi è stato constatato il passaggio dei cinghiali con conseguente attività di rooting e alterazione delle piccole pozze a valle dell’abbeveratoio nelle quali erano stati avvistati in precedenza gli ululoni appenninici.

In giugno 2020, il personale dell’Ente ha concordato con il Gruppo di lavoro Unical un ulteriore rilascio di 15 individui in AF2. Nella stessa data è stato catturato, fotografato e misurato solamente un individuo (peso 2,51 g e lunghezza muso-urostilo 30 mm) che successivamente tramite riscontro del pattern ventrale con le immagini presenti in archivio è stato individuato come una nuova cattura; si tratta quindi di un individuo rilasciato come girino nel 2019 (Tabella 8 e Figura 13).

 

Purtroppo, durante il sopralluogo effettuato nel mese di luglio il sito è risultato alterato e danneggiato nuovamente dal passaggio di cinghiali e con un livello minimo di acqua. A seguito quindi dell’alterazione dell’habitat e della necessità di attuare lavori di ripristino e controllo non sono state effettuate più azioni di traslocazione nel sito Acqua della Corte. Il gruppo di lavoro Unical, con il personale dell’Ente, ha effettuato nel 2020 altre due visite al sito in settembre e ottobre.

 

Nel 2021, l’Ente ha portato avanti un monitoraggio con censimento a vista (nessuna foto per identificazione) e sono state effettuate tre visite nelle seguenti date: 1° marzo, 15 aprile e 20 giugno. Solo nella prima visita è stato rilevato un subadulto nei piccoli ambienti umidi laterali all’abbeveratoio.

 

Nel corso del 2021, invece, il gruppo Unical ha potuto compiere nel sito Acqua della Corte un unico sopralluogo nel mese di maggio (24 maggio), durante il quale è stato catturato un esemplare, che le successive analisi di foto-identificazione hanno rilevato come ricattura (Figura 13).

 

L’identificazione mediante il programma I3S pattern+ dei pochi animali catturati e fotografati nel sito rivela che nessun individuo fotomarcato nel 2019 è stato mai ricatturato. Per quanto riguarda gli individui marcati e rilasciati a giugno 2020 sono stati ricatturati, due volte nello stesso anno, solo due subadulti (che erano stati rilasciati allo stadio di giovani), mentre nel 2021 è stata rilevata una sola ricattura sempre di un subadulto rilasciato allo stadio di giovane (Figura 13). Gli animali ricatturati nel sito rappresentano il 4,2% del totale degli individui traslocati nei due anni, mentre nei censimenti a vista è stato rilevato un numero di individui compreso tra 0 e 7. A fronte del rilascio di 29 girini, possiamo esser certi dell’avvenuta metamorfosi nel sito per 3 individui: due metamorfosati osservati nel 2019 dal personale dell’Ente e un subadulto catturato e marcato nel 2020 (Figura 13).

 

Valutazione dei risultati ottenuti

 

In conclusione in questo sito non si può escludere che oltre ad una elevata mortalità dovuta alla pressione predatoria, gli animali giovani e subadulti sopravvissuti siano andati in dispersione. Gli esemplari rilasciati potrebbero aver colonizzato un’area adiacente alla vasca del fontanile, caratterizzata da fitta vegetazione tipica di area umida con prevalenza a Carex sp., favorita dalla presenza di scoli di acqua provenienti sempre dalla sorgente a monte che alimenta il fontanile, come dimostrato dalle osservazioni riportate.

Sono necessari interventi strutturali di miglioramento del sito a tutela dal passaggio di fauna selvatica e una ricerca standardizzata in maniera regolare (ossia mensilmente durante tutto il periodo idoneo) nel sito e in aree limitrofe nei prossimi mesi o stagioni. Il tempo e un maggiore sforzo di ricerca potrebbero nel prossimo anno dare maggiori indicazioni sul successo delle azioni finora condotte.

 

 

PV3 - Pellizzari

 

In PV3 a settembre 2020 è stato effettuato il primo rilascio di 33 individui nati in cattività nei seguenti stadi:

In PV3 a giugno 2021 è stato effettuato il secondo rilascio di 16 individui nati in cattività nei seguenti stadi:

In totale (Tabella 10) nei due anni in “PV3 – Pellizzari” sono stati traslocati 49 ululoni appenninici, di cui 42 sono stati fotomarcati al momento del rilascio.

Nella stagione 2021 a seguito delle osservazioni effettuate da parte del personale dell’Ente gestore è stata riscontrata la presenza cumulativa di 22 individui (Tabella 11). In particolare sono stati censiti costantemente 3 adulti provenienti dai rilasci 2020, di cui due maschi ed una femmina.

 

Nelle date del 21 maggio, 17 giugno e 29 luglio, i campionamenti sono stati effettuati dal gruppo di lavoro Unical insieme al personale dell’Ente (Tabella 11). Sono stati catturati in totale 26 animali e l’analisi mediante il software di identificazione ha permesso di distinguere gli esemplari già marcati e le nuove catture.  Questo ha permesso di costruire la matrice, di seguito riportata, che rappresenta la storia delle catture o “capture history” di ogni animale (1 se un individuo è stato catturato, 0 se non è stato catturato) tramite la quale sarà possibile seguire l’andamento e la dinamica della popolazione reintrodotta negli anni (tasso di sopravvivenza, crescita della popolazione, sex ratio).

Degli animali rilasciati nel 2020, le ricatture risultano 8: tre individui ricatturati almeno una volta, quattro due volte e un esemplare ricatturato in tutte e tre le visite effettuate fino a luglio 2021.

Alla data del 29 luglio, tra nuove catture e animali già marcati, sono stati rilevati nel sito 17 individui (10 giovani; 4 subadulti di cui 1 maschio ed 1 femmina; 3 adulti di cui 2 maschi e 1 femmina).

La sopravvivenza cumulativa riscontrata tra gli animali rilasciati nel 2020 allo stadio post-metamorfosi (giovani, subadulti, adulti) fino a luglio 2021 risulta pari al 31%. Gli individui catturati per la prima volta sono risultati 4, di conseguenza si tratta di animali rilasciati come girini, metamorfosati nel sito e sopravvissuti al primo inverno; la sopravvivenza quindi degli individui rilasciati allo stadio di girino nel 2020 è risultata pari al 57% (Figura 15).

 

Per quanto riguarda i rilasci effettuati a giugno 2021, nel mese successivo è stato ricatturato nel sito il 50% degli esemplari traslocati (N = 8) (Figura 16).

 

Analisi dei dati biometrici

 

La statistica descrittiva per i parametri biometrici rilevati è riportata nei grafici seguenti separatamente per gli adulti e i giovani rilasciati nel 2020 e ricatturati nel corso del 2021. Considerato il basso numero del campione, ossia di ricatture in un periodo di campionamento di un solo anno post-rilascio, l’andamento della crescita in peso e in lunghezza viene rappresentata nei grafici seguenti per ogni singolo individuo nelle diverse visite al sito. Sub/adu indica un individuo rilasciato come subadulto e ricatturato l’anno successivo ormai adulto; allo stesso modo è stato indicato il passaggio di stadio met/gio e gio/sub.

 

Il peso medio del subadulto e degli adulti è di 4,52 ± 0,89 (N = 4) al momento del rilascio 2020 e di 5,54 ± 0,49 (N = 3) a luglio 2021. La lunghezza media è invece di 40,57 ± 1,77 (N = 4) al momento del rilascio 2020 e di 41,3 ± 1,54 (N = 3) a luglio 2021. In generale, quindi, si riscontra una crescita in peso degli animali rilasciati e della lunghezza in maniera più marcata nell’individuo passato dallo stadio di subadulto a quello di adulto.

 

Come indicato nella precedente tabella 10, il peso medio dei giovani è di 0,59 ± 0,09 (N = 12) al momento del rilascio 2020 e la lunghezza media è di 20,2 ± 0,06. Nei quattro giovani ricatturati (G1, G2, G3 e G4) il range di aumento in peso varia tra 0,87 – 2,64 g, evidenziando una crescita lineare, eccetto per un calo registrato in luglio per G4. Per quanto riguarda la lunghezza muso urostilo, invece, il range di crescita è compreso tra 6 – 14 mm con un periodo di assestamento registrato tra i mesi di giugno e luglio a seguito di una fase di aumento lineare.

 

Il peso medio dei metamorfosati è di 0,46 ± 0,06 (N = 10) al momento del rilascio 2020 mentre la lunghezza media è invece di 17,9 ± 0,03 (Tabella 10); alla data del 29 luglio è stato ricatturato solo un individuo indicato nei grafici come G5 met/gio che ha mostrato, nell’arco di 10 mesi, un aumento in peso di 2,37 g e in lunghezza di 10 mm. Per quanto concerne i 4 individui rilasciati allo stadio di girino nel 2020 e ricatturati nel 2021 si riportano di seguito i valori di peso e lunghezza registrati.

 

Valutazione dei risultati ottenuti

 

Nei mesi di giugno e luglio 2021 è stata accertata la deposizione di piccole ovature (composte da 2-4 uova ciascuna) e la presenza di girini di Ululone appenninico. Questo dato conferma la raggiunta maturità riproduttiva di individui al terzo anno di età nella neopopolazione costituita. Il sito è pertanto da ritenere altamente idoneo per ulteriori rilasci.

Nello specifico, i dati elaborati dal gruppo Unical tramite CMR e i censimenti a vista indicano che il rilascio di subadulti e adulti, cioè animali al secondo/terzo anno di vita, ha avuto esito favorevole; gli animali si sono ambientati perfettamente e sono rimasti legati al luogo di rilascio trovandolo idoneo alla deposizione.

 

Sebbene il campione sia esiguo (7 girini rilasciati nel 2020), possiamo affermare che il rilascio di girini può essere di supporto per incrementare la consistenza della neo-popolazione, dato il successo di metamorfosi nel sito e alla luce di quanto osservato nel sito AF1; per quanto riguarda gli individui rilasciati nel 2020 come metamorfosati (n = 10) c’è stata una percentuale di ricattura bassa (1 solo individuo ricatturato ad oggi) ma non è ancora possibile  trarre delle deduzione, considerato l’unico anno di osservazioni post-rilascio e considerato che lo studio tramite il metodo di CMR si basa solo su due sessioni di cattura effettive.

 

Educazione, informazione e sensibilizzazione

 

Tra le finalità della legge istitutiva delle Riserve vi è quella di favorire l’ammissione della collettività al godimento dei beni conservativi per fini culturali, scientifici, educativi e ricreativi (L.R. della Calabria n. 52/90, art. 1, comma 2).

 

Le Riserve, attraverso i suoi Centri ed i Servizi istituiti, costituiscono dei laboratori privilegiati per l’attività di educazione ed informazione ambientale in quanto permettono di avvicinare i cittadini, i giovani e gli studenti al territorio offrendo occasioni importanti per partecipare, attivamente, alle azioni di conservazione, di sensibilizzazione e di valorizzazione delle risorse naturali.

 

L’Ente gestore delle Riserve è sempre di più consapevole che la tutela e la conservazione del patrimonio naturale e della straordinaria biodiversità custodita, sono legati all’acquisizione di una forte coscienza ambientale nei cittadini.

Tutte le strutture ed i servizi attivati dall’Ente gestore delle Riserve svolgono un ruolo significativo dal punto di vista didattico e scientifico e rappresentano un importante punto di riferimento per tutto il comprensorio e non solo, rivestendo un ruolo determinante nel campo della didattica, della formazione e dell’educazione ambientale.

In particolare l’attività di educazione ed informazione ambientale viene assicurata dall’Ente gestore delle Riserve attraverso il Servizio Educazione e il Centro di Esperienza Ambientale “A Scuola nelle Riserve” in modo continuativo e gratuito a favore della collettività e delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.

 

La mission è quella di:

  • promuovere e mettere a disposizione del pubblico le strutture ed i centri istituiti dalle Riserve nell’ambito dei programmi di conservazione e fruizione naturalistica (Centri visitatori, Museo, Biblioteca, Laboratori, Sentieri natura, Centri per la conservazione della biodiversità in ex-situ, Giardino botanico);
  • favorire le attività di educazione ambientale promosse dalle Riserve;
  • valorizzare le attività svolte e le professionalità operanti all’interno delle Riserve nell’ambito dell’attività educativa e di valorizzazione e tutela del territorio;
  • far conoscere lo straordinario patrimonio naturale, costituito da una diversità endemica unica nella nostra Regione, per rafforzare quella sensibilità ambientale di tutela e conservazione delle risorse naturali.

 

Tra gli interventi realizzati nell’ambito del Progetto Ululone vi è quello di rafforzare la fruizione didattica ed informativa in-situ, attraverso la creazione di due aree tematiche dedicate al Progetto dove, attraverso bacheche e pannelli illustrativi, vengono spiegati finalità, importanza e obiettivi del progetto.

 

Ancora, le attività progettuali portate avanti sono state inserite nei percorsi didattici promossi dall’Ente Riserve, attraverso focus specifici dedicati al progetto. Questa attività è stata condotta sia su campo che in aula (in presenza e con lezioni on-line).

 

Un’altra attività di informazione è stata quella legata alla disseminazione dei risultati in campo scientifico, attraverso contributi presentati e ammessi a Congressi, e in campo istituzionale, con la partecipazione a conferenze e convegni.

 

Per questa tipologia di attività informativa e divulgativa si citano i seguenti contributi:

  • nel 2018 (ottobre) sono stati presentati i risultati iniziali al XII° Congresso Nazionale della Societas Herpetologica Italica, tenutosi a Rende (Cs). Il contributo è stato, altresì, pubblicato nei riassunti curati dal Comitato scientifico organizzatore;
  • nel 2018 (ottobre) le Riserve hanno ospitato presso il Centro Visitatori di Palazzo Rossi di Tarsia (Cs) una giornata del XII° Congresso Nazionale della Societas Herpetologica Italica;
  • nel 2019 (gennaio) presentazione del progetto e dei risultati intermedi nell’ambito del Kick-off Meeting della Linea di intervento “LQS - Piattaforma delle Conoscenze – Capitalizzazione delle esperienze e disseminazione dei risultati per la replicabilità di buone pratiche per l’ambiente e il clima” del Progetto “Mettiamoci in RIGA  – Rafforzamento Integrato Governance Ambientale”, organizzato a Roma dal Ministero dell’Ambiente – Direzione generale per lo Sviluppo Sostenibile, per il Danno Ambientale e per i rapporti con l'Unione Europea e gli Organismi Internazionali – SVI;
  • nel 2020 (gennaio) sono stati presentati i risultati intermedi al IX° Congresso Mondiale di Erpetologia, organizzato dall’Università di Otaga, in Nuova Zelanda, nella città di Dunedin. La missione del World Congress of Herpetology (WCH) è di promuovere la ricerca erpetologica, l'educazione e la conservazione, facilitando la comunicazione tra individui, società e altre organizzazioni impegnate nello studio di anfibi e rettili, tra i più numerosi vertebrati terrestri del pianeta, ma anche i più minacciati;
  • nel 2021 (maggio) presentazione del progetto e dei risultati intermedi nell’ambito del 3° Seminario Natura 2000 per la regione biogeografica del Mediterraneo, promosso dalla Commissione Europea (CE) e ospitato dalla Regione Calabria e dal Parco Nazionale della Sila;
  • nel 2021 (settembre) sono stati presentati i risultati iniziali al XIII° Congresso Nazionale della Societas Herpetologica Italica, tenutosi a Lipari (Me). Il contributo è stato, altresì, pubblicato nei riassunti curati dal Comitato scientifico organizzatore sulla rivista “Il Naturalista Siciliano”.

 

Infine, il Centro di Allevamento ex-situ è stato ed è oggetto di attività di visita da parte di rappresentanti di istituzioni pubbliche e private, associazioni, enti di ricerca, studenti e ricercatori.

 

Referenze bibliografiche

 

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  • 2017, PAN LIFE - Natura 2000 Action Programme - LIFE13 NAT/IT/001075. Protocolli di Monitoraggio degli Habitat d’Interesse Comunitario nella Rete Natura 2000 in Calabria: Specie animali.

 

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  • 2018, Brusco Agostino Marchiano’ Roberto, Puntillo Michele, A, Bernabo’ Ilaria, Brunelli Elvira, Sperone Emilio & Tripepi Sandro. Progetto: “Studio, conservazione, tutela e mantenimento delle popolazioni di Ululone appenninico (Bombina pachypus) nella Riserva naturale regionale Lago di Tarsia attraverso azioni dirette di conservazione e ripristino degli habitat, di reintroduzione e di ripopolamento della specie in pericolo e di informazione e divulgazione”. Studio di Fattibilità (redatto ai sensi del D.P.R. n. 357/97 e ss. mm. e ii.). Riserve naturali regionali Lago di Tarsia – Foce del fiume Crati-Amici della Terra/Ente gestore, Tarsia (Cs).

 

  • 2018, Brusco Agostino, Marchiano’ Roberto, Puntillo Michele, Bernabo’ Ilaria, Brunelli Elvira, Sperone Emilio & Tripepi Sandro. “Studio, conservazione, tutela e mantenimento delle popolazioni di Ululone appenninico (Bombina pachypus) nella Riserva Naturale Regionale Lago di Tarsia. XII Congresso Nazionale Societas Herpetologica Italica, Rende (Messina), 1-5 ottobre 2018. Riassunti/Abstract. Riserve naturali regionali Lago di Tarsia – Foce del fiume Crati-Amici della Terra/Ente gestore, Tarsia (Cs).

 

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Bibliografia consigliata contributo specifico: (Effetti della frammentazione del paesaggio su Anfibi e Rettili: una sintesi)

 

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L'ultima chance per la conservazione dell'Ululone appenninico

 

Il rospo “dorado” italiano: una situazione sempre più critica.

 

Il declino globale degli Anfibi, è ormai un dato di fatto indiscutibile e dagli anni Novanta del secolo scorso, quando è stato per la prima volta riconosciuto (Wake, 1991), le specie minacciate di estinzione raggiungono quasi il 32 % sul totale di quelle conosciute (circa 6600). Tra le 85 specie europee sono in rapido declino quasi il 60%, come numero di esemplari  e progressiva scomparsa di popolazioni, e la situazione nazionale è ancora più grave, riguardando specie fino a pochi decenni fa oltremodo diffuse e comuni. Le cause di tale declino sono molteplici: cambiamenti climatici, deforestazione, inquinamento, scomparsa dei siti di riproduzione (Blaustein & Kiesecker, 2002). Ad esse si sommano fattori epidemiologici (Kilpatrick et al., 2010) che agiscono globalmente contaminando anche aree ritenute sicure.

 

L’Ululone appenninico, Bombina pachypus (Bonaparte, 1838), è un anfibio anuro endemico dell’Italia, presente dalla Liguria centrale, suo limite occidentale (Doria & Salvidio, 1994) e di Parma (limite settentrionale (Stagni et al., 2004), fino alla Calabria (Caputo et al., 1993). Presenta un intervallo altitudinale preferenziale compreso tra 300 e 700 m (Appennino centro-settentrionale), 600-1000 m (Appennino centro-meridionale) (Sindaco et al. 2006), mentre supera di poco i 1900 metri sul versante Lucano del Massiccio del Pollino (Ciambotta et al. 2014). Si pone tra gli anfibi maggiormente minacciati e rari del territorio nazionale (Guarino et al., 2007) e per questo è collocato nella categoria EN (Endangered) della Red List dell’IUCN (criteri A2ce; Andreone et al., 2009) e della Lista Rossa Nazionale (Rondini et al., 2013). L’ululone dal ventre giallo, Bombina variegata, e l’ululone appenninico sono inseriti in Appendice II della Convenzione di Berna e negli allegati II e IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE. Bombina pachypus è ancora una entità tassonomica incerta, ed è riportato quale sottospecie dell’ululone dal ventre giallo,  Bombina variegata (Frost et al., 2014), nonostante le differenze morfologiche e genetiche evidenziate da diversi autori (Vandoni, 1914; Nascetti et al., 1982; Lanza & Vanni, 1991; Lanza & Corti, 1993; Canestrelli et al., 2006; Pabijan et al., 2013; Talarico et al., 2019). Per l’elevazione a rango specifico sarebbe necessaria un’indagine genetica e zoogeografica più approfondita e provvista di dati più numerosi e spazialmente ben distribuiti. Certo per la brillante livrea ventrale gialla o gialla-arancio e per la situazione sempre più a rischio possiamo davvero considerarlo il rospo dorado italiano (prendendo a prestito il nome comune dell’Atelopus zeteki, un piccolo anuro Bufonidae di Panama in pericolo critico di estinzione e oggetto di un programma internazionale di conservazione).

 

Nel corso degli ultimi quindici anni l’ululone appenninico è infatti declinato in quasi tutto il suo areale. Da un’indagine su siti rappresentativi è emerso che tra il 1996 e il 2004 l’anuro è scomparso in più del 50% dei siti esaminati (56 occupati nel 1996 contro 23 occupati nel 2004; Barbieri et al., 2004). Declini significativi sono stati registrati in Provincia di Siena (Piazzini et al., 2005), Abruzzo (Ferri et al., 2007), Provincia di Ancona (Fiacchini, 2007), Lazio (Bologna et al., 2000, Bologna et al., 2007) ed Emilia Romagna (Stagni et al., 2004).

 

I fattori di minaccia evidenziati dai gruppi di ricerca impegnati nel monitoraggio a lungo termine delle sue popolazioni (Ferri et al., 2015; Marini et al., 2018) sono:

  1. la riduzione, la scomparsa e la frammentazione degli habitat idonei: sebbene sia stata documentata la scomparsa di intere popolazioni a seguito di distruzione e/o alterazione dei siti riproduttivi (Mori & Giovani, 2012), non è attualmente possibile determinare le cause dell’assenza di B. pachypus dalle stazioni di presenza storicamente segnalate. Si presume che la perdita di habitat delle zone umide dovuta alla captazione dell’acqua per scopi agricoli sia una potenziale minaccia per la specie. Alcune popolazioni sono molto piccole (10-12 individui [Mattoccia et al., 2006]) e a predominanza maschile: queste popolazioni sono soggette a estinzione locale per fattori stocastici. Ulteriore fattore di rischio è dovuto allo scarso successo riproduttivo degli ululoni appenninici in pozze di modeste dimensioni soggette a rapido disseccamento e ad eccessiva predazione sulle uova e sulle larve (Mirabile et al., 2004);
  2. l’inquinamento delle acque: biologico (assenza o cattivo funzionamento dei depuratori; spargimento di liquami zootecnici; polluzione diretta di ungulati domestici durante l’abbeverata) e chimico (pesticidi, erbicidi ed altri composti chimici usati in agricoltura);
  3. rischi sanitari: connessi in particolare ad infezioni da Batrachochytrium dendrobatidis. Tra gli anuri italiani la presenza di questo fungo è stata riscontrata, con tecniche molecolari ed istologiche, per la prima volta proprio in popolazioni di B. pachypus nelle quali, al chitridio, è stata attribuita rilevanza nella mortalità di individui neometamorfosati e giovani prelevati da siti riproduttivi tosco-emiliani per scopi di conservazione ex situ (Stagni et al., 2004). La distribuzione del patogeno, rilevato tramite Nested-PCR, è stata riscontrata in diverse popolazioni di ululoni appenninici (Canestrelli et al., 2006; 2013). Nel Lazio sono state rilevate positività per B. dendrobatidis in 5/5 individui di B. pachypus provenienti da Stipes - Rieti (Canestrelli et al., 2013) e varie deboli positività (qPCR, Ct values: ~ 38-40) in esemplari di altre popolazioni laziali.
    La malattia sembra scatenarsi dall’interazione di più fattori: condizioni ambientali, tempo di interazione patogeno-ospite, genetica del fungo e dell’ospite (Lips, 2016). Mostrando un areale di distribuzione frammentato e ristretto, B. pachypus ha alte probabilità di subire gravi conseguenze se contagiata da chitridiomicosi (Bielby et al., 2008; Tessa et al., 2013). Il basso tasso di reclutamento della specie, dovuto probabilmente all’emigrazione di individui giovani (Angelini et al., 2018), non permetterebbe il recupero né la persistenza delle popolazioni dopo un evento epidemico (Marini et al., 2018).
    Non sono per ora note in B. pachypus episodi infettivi clinicamente manifesti dovuti a membri della famiglia Iridovirida. La nocività di tali agenti eziologici risiede nella loro trasmissività tra classi diverse di animali ectotermi (i.e. pesci-anfibi-rettili). Le immissioni di pesci da ripopolamento si confermerebbero quindi come una seria minaccia, atteso che in alcune specie l’infezione potrebbe decorrere in forma subclinica senza rendersi riconoscibile ad un esame clinico generale (Brenes et al., 2014);
  4. ripulitura delle strutture e manufatti per l’irrigazione e per l’abbeverata del bestiame: queste raccolte d’acqua rappresentavano una notevole proporzione dei siti di presenza della specie; la loro manutenzione, eseguita in tempi sbagliati e modi sbrigativi, nuoce fortemente ai nuclei ivi localizzati, inficiandone o annullandone le possibilità riproduttive;
  5. immissione di specie ittiche predatrici; colonizzazione di altri predatori: molti dei siti di presenza di Bombina pachypus sono andati persi negli ultimi anni a causa dell’introduzione di pesci. Soprattutto carassi dorati (Carassius auratus), pesci gatto neri (Ameiurus melas), persico sole (Lepomis gibbosus), gambusie (Gambusia holbrooki e G. affinis), o dell’arrivo di Crostacei Decapodi Cambaridae invasivi (in particolare Procambarus clarkii), o concentrazione di altra fauna predatrice di uova, girini e neometamorfosati (giovani di Natrix helvetica; larve di Odonati come Aeshna sp., larve di Coleotteri Dytiscidae, larve di Trichoptera Odontoceridae) (Di Cerbo & Ferri, 2000);
  6. herping e wildlife-photographing:  Bombina pachypus, in quanto specie in Allegato II e IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE,  per essere oggetto di studio e quindi di “manipolazione” impone l’ottenimento di una deroga ai vincoli imposti per la tutela della flora e della fauna e la conservazione degli habitat naturali (disposizioni previste dagli art. 12, 13, 14 e 15, lettere a) e b), possibile secondo l’art. 16 solo per motivi inerenti la conservazione, la didattica, la ricerca scientifica e motivi di rilevante interesse pubblico (sanità, sicurezza economia). Deroga che può essere autorizzata, come previsto all’art. 11 del D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357, dal Ministero dell’Ambiente, sentiti per quanto di competenza il Ministero delle Politiche Agricole e l’ISPRA. Purtroppo la stragrande maggioranza delle “manipolazioni” avviene ad opera di persone che oltre a non avere la suddetta autorizzazione, non rispettano né l’habitat né gli individui della specie durante le fasi più delicate della loro esistenza. Si conoscono luoghi in Abruzzo e nel Lazio dove i pochi isolati individui in stazioni fortemente localizzate di B.pachypus sono oggetto, nel pieno del periodo di attività, di cattura, di spostamento, per lo più per trarne fotografie “ambientate” anche più volte la settimana. La mancanza di successo riproduttivo, rilevata anche successivamente ad interventi di habitat management presso questi siti, potrebbe essere l’amara conseguenza di queste azioni irresponsabili.

 

Caratteristiche ecologiche

 

L’ululone appenninico è una specie prevalentemente diurna, che frequenta nei periodi di attività ambienti acquatici assai diversificati, dai torrenti e ruscelli a debole corrente alle piccole pozze effimere, laghetti, scoline, vasche e abbeveratoi, dove l’acqua è generalmente poco profonda, con o senza vegetazione emergente.

 

Localmente presente in zone di pianura, è più comune in quelle collinari o pedemontane. Gli individui raggiungono il sito riproduttivo tra marzo ed aprile e vi rimangono sino a settembre o ottobre; sono in grado di percorrere distanze fino ad un chilometro per spostarsi da un sito acquatico ad un altro. Generalmente si osservano da due a quattro picchi di attività riproduttiva, con le deposizioni che iniziano da aprile-maggio e si protraggono fino a metà agosto. La femmina rilascia nel corso di una singola deposizione e in gruppetti, da poche a qualche decina di uova, che attacca alla vegetazione o a detriti sommersi; le uova poi schiudono dopo circa una settimana. Le larve metamorfosano in un tempo variabile da uno a tre mesi, ma nel caso di deposizioni tardive la durata del ciclo larvale risulta molto più lunga e i girini possono svernare in acqua. Le larve sono onnivore, potendosi cibare sia di sostanze vegetali che di piccoli organismi e di materiale organico depositato sul fondo delle pozze; gli adulti sono invece predatori, prevalentemente di artropodi, che possono catturare anche sott’acqua. Studi condotti in diversi siti riproduttivi hanno riscontrato una riduzione del successo riproduttivo quando la popolazione è sintopica con Triturus carnifex, che si ritiene possa esercitare una intensa pressione predatoria soprattutto sulle uova e sulle larve all’inizio dello sviluppo.

 

Dalla ricerca alla Conservazione, dalle parole ai fatti

 

Dal 1994 gli studi che miratamente hanno riguardato l’ululone appenninico sono stati numerosi e significativi per colmare un lungo vuoto di conoscenze sulla biologia, sui diversi aspetti di ecologia, ma soprattutto sulle diverse problematiche e tematiche correlate alla sua conservazione.

Fondamentali anche gli studi di genetica, che hanno individuato nelle popolazioni di B.pachypus un’altra grave minaccia: la depressione genetica (interbreeding) nelle piccole popolazioni isolate, con possibili riduzioni di fertilità o una maggiore suscettibilità ai patogeni.

 

La distribuzione geografica della diversità genetica di B.pachypus lungo l’areale è stata oggetto di recenti studi (Canestrelli et al., 2006). Le popolazioni con livelli maggiori di diversità genetica sono risultate quelle presenti in Calabria, l’area cioè in cui la specie si sarebbe rifugiata durante i periodi glaciali per sfuggire le condizioni climatiche avverse nell’areale settentrionale. In particolare, il maggiore serbatoio di diversità genetica (hotspot), e dunque l’area di maggior interesse conservazionistico, è stato riscontrato nella parte centrale della Calabria. Al contrario, tutte le popolazioni studiate a nord della Calabria presentano ridotti valori di variabilità genetica e scarso differenziamento, in accordo con uno scenario di recente ricolonizzazione della parte centrale e settentrionale della penisola (presumibilmente dopo la fine dell’ultima glaciazione, circa 18000 anni fa) a partire dal rifugio calabrese.

 

Pertanto, dal momento che i dati genetici indicano che le popolazioni settentrionali sono derivate da quelle meridionali e che la loro diversità genetica è limitata, tutte le popolazioni possono considerarsi ascrivibili alla medesima unità evolutivamente significativa (ESU sensu Ryder, 1986; v.d. anche IUCN/SSC, 2008). Questo taxa quindi dovrebbe essere considerato “Not Threatened” in Calabria, e “Endangered” nelle popolazioni settentrionali (Di Cerbo, Romano & Salvidio, 2016). Da qui la necessità, indicata e perorata nella proposta di intervento di Canestrelli et al. (2014), di attivare azioni di rinforzo delle popolazioni o di reintroduzione, tramite traslocazione o breeding projects partendo da nuclei meridionali.

 

La caratterizzazione genetica utile allo studio delle relazioni filogeografiche delle popolazioni italiane ed in particolare di quelle laziali, alla comprensione della storia evolutiva della specie, nonché all’individuazione di ben caratterizzate Unità gestionali, è stata oggetto successivamente di altri studi come quelli presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma 2 “Tor Vergata” (Ciambotta, 2015; Talarico et al., 2019), che hanno confermato la valenza genetica delle popolazioni meridionali e la crisi di quelle centro-settentrionali, pur non avendo prove inconfutabili che la loro rapida scomparsa sia conseguenza di epidemie di Batracochitryum. Durante le ricerche per questi studi è stata accertata una traslocazione già avvenuta e affatto positiva per Bombina pachypus e cioè quella che ha portato, in una località del Lazio, ad una ibridazione introgressiva tra individui dell’ululone appenninico con quelli della sottospecie scabra di Bombina variegata (Talarico et al., 2021).

 

Per un tentativo estremo di fermare il declino del nostro rospo dorado, negli ultimi vent’anni si sono succeduti  un Action Plan nazionale (il già citato lavoro di Canestrelli et al., 2014) e due regionali, quello per l’Abruzzo (Ferri et al., 2016) e quello per il Lazio (Marini et al., 2018). E uno dopo l’altro si sono sperimentati sul campo i primi interventi progettati per ridurre la perdita degli habitat e le prime attività di allevamento ex-situ per restocking delle popolazioni più in crisi.

 

Elenchiamo cronologicamente i principali progetti che in generale hanno riguardato le due specie di Bombina in Italia, sia perché l’esperienza maturata nella loro realizzazione è servita per arricchire le proposte successive, sia perché i problemi di conservazione a medio termine sono molto gravi anche nell’ululone a ventre giallo, Bombina variegata, e quindi il loro destino è comune e dipende, e dipenderà sempre più, da queste iniziative.

 

Si tratta in generale di programmi di conservazione basati su interventi di habitat management e molto parzialmente, all’inizio su allevamenti ex-situ. Questi ultimi avevano, ed hanno nei progetti in corso, l’obiettivo di ripopolare le specie target (AA.VV., 2007, cfr. paragrafo 6.4) e rientrano nell’ambito della “Population restoration” dello IUCN/SSC (2013). Si tratta, infatti, di traslocazioni a fini conservazionistici all’interno dell’areale primario della specie. Quasi tutti i progetti sono inquadrabili in una attività di “Reinforcement” in quanto gli individui prodotti con l’allevamento ex-situ sono stati o vengono rilasciati nel sito della popolazione di provenienza (IUCN/SSC, 2013), per aumentarne la vitalità con l’aumento della numerosità, della diversità genetica, della rappresentanza di specifici gruppi demografici o stadi vitali (IUCN/SSC, 2013). Progetti tutti ammirabili e che, anche se solo localmente, stanno cercando di limitare la scomparsa di una specie che possiamo considerare totemica per la batracofauna italiana. Forse servirebbe uno slancio ulteriore, a livello nazionale, ed i progetti di conservazione del nostro rospo dorado dovrebbero  interessare contemporaneamente  tutte le popolazioni in crisi di una intera regione o, almeno di una intera provincia e durare decenni, non pochi anni. Certo non c’è più tempo da perdere e i risultati davvero negativi di recenti monitoraggi (per quanto riguarda il rilevamento dei siti conosciuti) nella parte di areale, che fino ad ora consideravamo l’isola felice per l’Ululone appenninico e cioè la Calabria centro-meridionale, sembrano ridurre le speranze in un futuro di salvaguardia della specie basato su traslocazioni e riproduzioni del surplus numerico di quelle popolazioni.

 

Si elencano sinteticamente i progetti e le esperienze di conservazione realizzati per l’Ululone appenninico.

 

Dalla conoscenza di quanto è stato fatto o si sta facendo per il rospo dorado italiano è stato attivato nel 2017 il Progetto Ululone della Riserva Lago di Tarsia. Il progetto è stato ben presentato e sono stati dettagliatamente descritti la modalità di impianto del breeding center, protocolli di allevamento e risultati conseguiti fino ad oggi.

 

La conoscenza che le popolazioni di Bombina pachypus stavano rapidamente crollando numericamente anche nella regione Calabria è avvenuta solo recentemente, soprattutto dopo le risultanze di progetti di ricerca che hanno interessato vaste aree di parchi nazionali calabresi e dopo le gravissime conseguenze della siccità e degli incendi dolosi dell’ultima estate 2021.

 

Questa nuova situazione porta a considerare il lavoro già fatto o programmato a Tarsia una base di partenza  irrinunciabile e da potenziare al massimo per la salvaguardia dell’ululone appenninico. Oggi, infatti, non sono più in ballo i destini delle popolazioni di B. pachypus della Riserva Lago di Tarsia o di quelle del Cosentino. Il quasi improvviso tracollo della specie nella Calabria centro-meridionale ha di fatto eliminato quell’ancora di salvezza per la sopravvivenza generale che gli esperti italiani avevano assegnato alle popolazioni calabresi.

 

Peraltro alcune delle metodologie applicate presso il Centro Ululone di Tarsia si rivelano fondamentali per migliorare i risultati delle attività di allevamento ex-situ.

Fino ad oggi pochi breeding center si sono organizzati per evitare al massimo l’infierire dei predatori naturali grandi e piccoli sugli anuri stabulati e, soprattutto, sulle loro uova e larve. I recinti di Tarsia, invece, hanno uno sbarramento perimetrale (rete zanzariera addossata a rete a maglie strette) che può fermare sia tutti gli invertebrati potenziali predatori che le natrici ed i piccoli mammiferi; mentre una rete superiore non blocca soltanto i grandi carnivori, i roditori e l’avifauna, ma anche gli Odonati. E a limitare i danni degli Eterotteri e di qualche altro “infiltrato” c’è comunque la continua sorveglianza degli addetti.

 

Notevole, anche, è l’applicazione dei protocolli di difesa sanitaria, che impone a tutti i frequentatori di indossare guanti sterili e di disinfettare le calzature prima dell’ingresso nei recinti.

 

Per quanto riguarda i siti di restocking-reintroduzione si può annotare che le migliori risultanze si sono avute laddove le raccolte d’acqua hanno ricevuto una minima “attenzione”. L’ululone appenninico è un colonizzatore che però si insedia più facilmente dove le raccolte d’acqua sono ben rinaturate o dove, nello spazio di pochi decimetri quadri, può disporre di un rifugio di una vegetazione perimetrale che possa ombreggiare in parte e difenderlo alla vista di predatori, e di vegetazione acquatica che ossigeni e dia adeguato appiglio alle uova.

 

Per minima attenzione umana del sito, si può intendere oltre all’assenza di pulizie  (troppi abbeveratoi, vasche e pozze sono trattati continuamente con l’asporto di alghe e piante acquatiche), anche di frequentazione.

 

Ridottissimi nuclei di B. pachypus del Lazio, localizzati in abbeveratoi di aree protette, che non riescono a riprodursi da anni per il continuo disturbo di quanti passano davanti al manufatto, che vi si fermano, che vi svolgono una qualsiasi attività (tra cui l’erpetofotofilia…).

 

Il ritrovamento o meno dei giovani, a distanza di poco tempo dall’introduzione, nel sito di ricezione è invece direttamente collegato alla loro impossibilità di ricavarsi una propria zona di permanenza. E’ molto difficile per un giovane maschio spodestare un adulto insediato da anni in una raccolta d’acqua. Ed è quasi impossibile per un giovane ululone trovare alternative a breve distanza dal punto di immissione.

 

Da qui l’importanza di realizzare sempre nuove pozze: in serie, a cascata, a grappolo. Esistono consolidate strategie per collegare con tubi in pvc interrati la rete di nuove raccolte d’acqua ad un sicuro punto di approvvigionamento, anche distante decine di metri. Indispensabili due condizioni: (a) non superare gli 800 metri tra una nuova pozza e l’altra; (b) difendere le nuove pozze o vasche con un perimetro di rete elettrosaldata da 1 cm, infossata per 50 cm ed alta 150 cm, sorretta da pali di almeno 12 cm di diametro (è l’unico modo per fermare i grandi ungulati). E per quanto riguarda la mancanza d’acqua che sta vanificando l’esito della riproduzione di tante popolazioni di B. pachypus, forse sarebbe il caso di cominciare a interrare grandi serbatoi  (minimo 3000 litri) opportunamente disposti per riempirsi durante le piogge e collegati alle vasche e pozze.

 

Effetti della frammentazione del paesaggio su Anfibi e Rettili: una sintesi

 

Gli effetti ecologici, comportamentali, genetici della frammentazione del paesaggio sulle popolazioni/specie biologiche a causa delle opere ed attività umane storiche e recenti sono stati ampiamente approfonditi nella letteratura scientifica internazionale (Franklin et al., 2002; Fahrig, 2003; Ewers & Didham, 2006; Lindenmayer & Fischer, 2007).

 

Due gruppi di animali particolarmente sensibili alle trasformazioni ambientali indotte dalla frammentazione e dai sotto-processi ad essa collegati (riduzione di superficie, incremento dell’isolamento, degradazione degli habitat e effetto margine) sono rappresentati dagli anfibi e dai rettili, caratterizzati da una peculiare ecologia e da specifiche modalità di dispersione che possono rendere alcune specie estremamente vulnerabili a questo processo antropogeno (per gli anfibi: es.: Kolozsvary, & Swihart, 1999; Cushman, 2006; per i rettili, es.: Driscoll, 2004; per entrambi i gruppi, si veda anche: Hager, 1998).

 

Di seguito si accenna ad alcuni aspetti in modo sintetico. Il lettore potrà approfondire la tematica consultando la letteratura citata.

 

Negli anfibi la riduzione di connettività indotta dalla frammentazione ambientale, in tutte le sue forme, interferisce soprattutto sulla dispersione giovanile in un gran numero di specie di anfibi anuri e urodeli. Questi effetti sono più evidenti a breve termine in specie ad elevata capacità dispersiva che possono incontrare barriere lineari o diffuse durante i loro spostamenti. In modo specifico, la presenza di infrastrutture stradali e del traffico veicolare può pesantemente impattare sulle densità di popolazione, anche alterando il rapporto tra i sessi e tra le classi di età nelle popolazioni isolate (Joly et al., 2003).

 

Anche la presenza di estese aree trasformate (es., agricole, bonificate o urbanizzate) tra gli habitat umidi isolati può accelerare la progressiva estinzione di popolazioni locali. Per esempio, l’estrema frammentazione e l’isolamento dei biotopi umidi e umido-forestali in aree planiziarie sono all’origine della rarefazione ed estinzione locale di popolazioni e specie di anfibi. In letteratura, sono stati riportati alcuni casi che evidenziano l’attuale localizzazione ed estinzione locale delle popolazioni di Rana di Lataste (Rana latastei) nella pianura padana (cfr. Battisti, 2004 per una revisione).

 

Tra le diverse componenti del processo, l’isolamento influenza in modo marcato le popolazioni di gran parte delle specie di anfibi. E’ stato, ad esempio, evidenziato, al pari di altri fattori, il ruolo della distanza tra popolazioni di alcune specie e siti riproduttivi nel determinare la loro presenza e diffusione: ciò è valido in particolare, tra le specie studiate, per il Rospo comune (Bufo bufo). In ambito urbano, ove si assiste ad un isolamento estremo degli habitat idonei residuali, alcune specie di anfibi con ridotta capacità dispersiva mostrano una estrema localizzazione dei siti di presenza, con conseguenze sulla vitalità a lungo termine delle loro meta-popolazioni (es., Hitchings & Beebee, 1998).

 

Gli ambienti urbanizzati sono stati ampiamente studiati a questo proposito. A Roma, per esempio, molte ricerche hanno sottolineato più volte la localizzazione delle popolazioni di Rospo smeraldino (Bufo viridis) e di Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina perspicillata), ipotizzando una loro scarsa vitalità in tempi lunghi (Vignoli et al., 2009). L’Atlante degli anfibi e rettili di Roma e provincia ha mostrato come alcune specie più euriecie (ad esempio, Rospo comune, Bufo bufo e rane verdi) risultino ancora ben distribuite nell’area urbana, pur se con pattern spaziali che risentono della frammentazione dei rispettivi habitat. Altre specie, al contrario, mostrano una estrema localizzazione dei siti, con popolazioni prossime alla scomparsa locale (Bologna et al., 2007).

 

A Palermo l’espansione edilizia degli ultimi decenni ha, di fatto, isolato in modo estremo i siti di Discoglosso dipinto (Discoglossus pictus) e di Raganella italiana (Hyla intermedia) tanto che quest’ultima specie non è stata più rinvenuta in gran parte dei frammenti residui potenzialmente idonei inseriti nella matrice urbanizzata della città (cfr. la letteratura citata in Battisti, 2004).

 

A Milano, uno studio condotto su 84 zone umide dell’hinterland e su 7 specie di anfibi ha mostrato che le più diffuse sono risultate la Rana verde (Rana sp.) e la Raganella italiana (Hyla intermedia) (Ficetola & De Bernardi, 2004). Entrambe queste specie mostrano buone capacità dispersive e sono in grado di superare barriere antropiche di modeste dimensioni rispetto ad altre specie; il Rospo comune (Bufo bufo), la Rana di Lataste (Rana latastei), il Tritone crestato italiano (Triturus carnifex) e il Tritone punteggiato (Lissotriton vulgaris) figurano, al contrario, fra le specie più vulnerabili. In particolare, il Rospo comune (Bufo bufo) mostra una media incompatibilità alle aree frammentate, il Tritone crestato italiano (Triturus carnifex) presenta un’alta incompatibilità ed infine la Salamandra pezzata (Salamandra salamandra) mostra una incompatibilità altissima. In ogni caso altri fattori locali, oltre all’effetto barriera indotto dalle infrastrutture e il conseguente isolamento dei relativi habitat, possono aggiungersi nel determinare i pattern di distribuzione osservati alla scala urbana (come la presenza di specie ittiche, lo stress idrico o le alterazioni delle condizioni fisico-chimiche delle acque).

 

Il destino delle popolazioni urbane di anfibi e dei loro dinamismi a scala più ampia appare quindi seriamente compromesso a causa dell’alterazione, in alcuni casi irreversibile, delle condizioni ecologiche necessarie per il mantenimento della loro vitalità. A tal proposito, è stato suggerito recentemente come sarebbe più opportuno concentrare gli sforzi di ricerca sullo studio di alcuni processi in atto (es., estinzioni locali) piuttosto che ipotizzare interventi mirati al ripristino della connettività per queste specie, il più delle volte di difficile attuazione, almeno in contesti altamente urbanizzati (Battisti, 2004). Ciò è valido per l’erpetofauna come per tutti gli altri gruppi a scarsa vagilità (es., mammiferi, Amici & Battisti, 2009).

 

Anche fra i rettili la frammentazione interviene su determinate specie sensibili. In Europa sono state effettuate ricerche in tal senso, rispettivamente, sulla Testuggine terrestre (Testudo hermanni) e su alcune specie di serpenti, sottolineando come gli investimenti stradali rappresentino per questa specie una seria minaccia in grado di alterare la struttura delle popolazioni (Vujović et al., 2015).

 

Altri ricercatori hanno riportato le problematiche di isolamento che riguardano le popolazioni relitte di Marasso (Vipera berus), di Lucertola vivipara (Zootoca vivipara) e di Testuggine d’acqua europea (Emys orbicularis) in ambienti planiziari (ma non solo) dove il loro habitat è isolato da una matrice antropizzata non più superabile da individui in dispersione (Ursenbacher et al., 2009; Ferri et al., 2017).

 

Nella pianura veneta l’alterazione chimico-fisica dei corpi idrici, la semplificazione del paesaggio agrario, la competizione con l’alloctona Testuggine dalle guance rosse (Trachemys scripta) e la presenza di barriere infrastrutturali e diffuse (urbane e industriali) stanno pregiudicando la continuità distributiva a scala regionale della Testuggine d’acqua europea (Emys orbicularis) (Liuzzo et al., 2021).

 

I canali artificiali di bonifica, ove viene rilevata la specie, potrebbero, ad una prima analisi, apparentemente essere considerati habitat alternativi (oltre che essere utilizzati come corridoi di dispersione): in realtà, sembra che essi rappresentino, al contrario, habitat poco idonei (sink) che non garantiscono a lungo la sopravvivenza delle popolazioni di questa specie nell’area. In ambienti urbanizzati italiani, è stata anche evidenziata la condizione “relittuale” del Ramarro occidentale (Pseudopidalea viridis), del Saettone (Elaphe longissima) e della Vipera comune (Vipera aspis) a causa della trasformazione e frammentazione dei relativi habitat.

 

Recentemente molti ecologi applicati stanno focalizzando sul ruolo di indicatori di frammentazione che alcune tra le specie di rettili possono avere, per le loro caratteristiche ecologiche (ampiezza di nicchia, stenoecìa, capacità dispersiva, massa corporea, livello trofico). Per l’Italia è già disponibile una lista delle specie più sensibili che può rappresentare un riferimento per chi pianifica le reti ecologiche (Battisti & Luiselli, 2011). Queste specie possono essere utilizzate per il monitoraggio di efficacia degli interventi di ripristino della connettività e di mitigazione dell’effetto barriera indotto da habitat non idonei o infrastrutture puntiformi e lineari.

 

 

Conclusioni

 

Il progetto “Ululone”, realizzato dall’Ente gestore delle Riserve naturali regionali del Lago di Tarsia e della Foce del Crati, si pone come modello di replicabilità a livello nazionale considerata la buona riuscita degli obiettivi previsti e l’unicità di quanto realizzato.

 

La funzionalità delle opere realizzate presso il Centro di Allevamento ha favorito in maniera determinante il buon esito riproduttivo e, di conseguenza, le attività di ripopolamento. Infatti, la particolare tipologia dei recinti e le relative vasche in essi presenti, come descritto nelle sezioni specifiche, si sono rivelati molto efficaci favorendo un’ottima ambientazione dei soggetti fondatori che hanno da subito avviato le attività riproduttive.

 

Gli interventi previsti sono stati realizzati mediante una nuova ideazione e progettazione, sia per le fasi del “captive breeding” che per la gestione dei siti di rilascio.

 

Le opere di conservazione a carico dei siti di rilascio prescelti sono state di tipo conservativo, senza alterare l’equilibrio ecologico delle stesse e cercando di garantire le condizioni di vita idonee alle diverse fasi di sviluppo della specie.

 

La validità di quanto sopra descritto ha orientato la scelta dell’Ente gestore a puntare esclusivamente sulle attività riproduttive realizzate presso il Centro di Allevamento, accantonando l’utilizzo delle vasche/acquario.

 

L’eccellente risultato riproduttivo ottenuto nel Centro di Allevamento, da parte dei soggetti fondatori, ha consentito di effettuare costanti immissioni di individui generati, sia come girini che come metamorfosati, presso i siti di ripopolamento. Tutto ciò si è tradotto, in particolare per due dei tre siti prescelti, nella raggiunta maturità riproduttiva di individui al terzo anno di età e di stabili neopopolazioni costituite.

 

L’Ente gestore delle Riserve proseguirà con gli interventi avviati in questi primi anni, portando avanti le attività ex-situ con la gestione ed il mantenimento del Centro di Allevamento e con interventi in-situ attraverso il ripopolamento di nuovi siti idonei, non solo nel territorio di competenza delle Riserve ma anche avviando eventuali collaborazioni con le altre aree protette regionali finalizzate ad intraprendere azioni di ripristino delle popolazioni in quelle aree dove storicamente la specie è stata sempre presente, ma che negli ultimi anni hanno visto diminuire drasticamente o scomparire del tutto le residue popolazioni.

 

Le attività di monitoraggio attualmente condotte (monitoraggio e manutenzione del Centro di Allevamento, conteggio e prelievo dati biometrici sugli individui, fotomarcatura) saranno ulteriormente approfondite attraverso analisi genetiche specifiche, monitoraggio sanitario per individuazione di eventuali attacchi da chitridiomicosi, con verifiche sui singoli individui di ululone, e con misure preventive d’individuazione precoce del chitridio nei siti interessati.

 

In conclusione quindi, analizzando le diverse fasi progettuali, con le varie tipologie di interventi realizzati e in base ai risultati ottenuti, appare evidente il buon successo delle attività finora svolte e, inoltre, l’esperienza condotta rappresenta un valido strumento che l’Ente gestore delle Riserve può continuare a mettere a disposizione sia per interventi diretti che per eventuali replicabilità in altre aree idonee, al fine di potenziare le azioni di tutela e conservazione a favore di un endemismo italiano, che la letteratura scientifica dà come fortemente minacciato ed in rapido declino a livello nazionale.

 

Crediti

 

Riserve naturali regionali

Lago di Tarsia - Foce del fiume Crati

Amici della Terra/Ente gestore

Palazzo Rossi, Via Garibaldi n. 4 - 87040 Tarsia (Cs)

Info: Telefax: 0981.952185

e-Mail: info@riservetarsiacrati.it - web site: www.riservetarsiacrati.it

 

 

Progetto Ululone:

“Studio, conservazione, tutela e mantenimento delle popolazioni di Ululone appenninico (Bombina pachypus) nella Riserva naturale regionale Lago di Tarsia  attraverso azioni dirette di conservazione e ripristino degli habitat, di reintroduzione e di ripopolamento della specie in pericolo e di informazione e divulgazione”.

 

 

Gruppo di lavoro:

Agostino Brusco, Antonella Dima, Roberto Marchianò, Michele Puntillo

(Amici della Terra/Ente gestore Riserve Tarsia-Crati)

Sandro Tripepi, Emilio Sperone, Ilaria Bernabò, Viviana Cittadino

(Università della Calabria – Dipartimento di Ecologia, Biologia e Scienze della Terra)

 

Coordinamento:

A. Brusco

 

Testi:

Agostino Brusco, Roberto Marchianò (Amici della Terra/Ente gestore Riserve)

Per il capitolo “Studio demografico” – Sandro Tripepi, Ilaria Bernabò, Viviana Cittadino (Unical-DiBEST)

 

Contributi specifici:

Corrado Battisti, Effetti della frammentazione del paesaggio su Anfibi e Rettili.

Vincenzo Ferri, Bombina pachypus, l'ultima chance per la conservazione.

 

Report finale a cura:

Agostino Brusco, Roberto Marchianò, Emilio Sperone

 

 

Pen drive:

Il Progetto Ululone appenninico nella Riserva naturale regionale Lago di Tarsia – Report dei risultati.

 

A cura:

Agostino Brusco

 

Realizzazione multimediale:

Daniele Pangaro

 

Fotografia:

Agostino Brusco

 

Riprese video:

Agostino Brusco (per le riprese con drone ha collaborato Gianni Giglio)

 

Citazione bibliografica consigliata:

A. Brusco, 2021, Il Progetto Ululone appenninico nella Riserva naturale regionale Lago di Tarsia – Report dei risultati.

Amici della Terra/Ente gestore Riserve Tarsia-Crati, Tarsia (Cs).

 

 

© 2021, Riserve naturali regionali Lago di Tarsia-Foce del fiume Crati

Amici della Terra/Ente gestore.

Tutti i diritti riservati

 

ISBN:

979-12-80825-00-1

 

Stampa e precaricamento dati pen drive:

Shelve srl

 

 

Si vuole ringraziare per aver reso possibile la realizzazione del progetto:

Antonella Rizzo e Sergio De Caprio, Assessori regionali all’Ambiente della Regione Calabria;

Orsola Reillo e Gianfranco Comito, Dirigenti generali del Dipartimento Territorio e Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria;

Giovanni Aramini, Dirigente del Settore Parchi ed Aree Naturali Protette – Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione Calabria;

Giusy Lombardi, Direttore Generale Sviluppo Sostenibile del Ministero della Transizione Ecologia;

Stefania Betti, Ministero della Transizione Ecologia (DG SVI)/AT Sogesid.

 

Un ulteriore ringraziamento per la collaborazione a:

Giovanni Raia e Ernesto Filippi, Direzione Generale per il Patrimonio Naturalistico del Ministero della Transizione Ecologica

Enrico Luigi De Capua, Direttore Ente Parco Naturale Regionale della Murgia Materana;

Vito Santarcangelo, Collaboratore Ente Parco Naturale Regionale della Murgia Materana;

Andrea Ferraretto, Ministero della Transizione Ecologia (DG SVI)/AT Sogesid;

Domenico Pappaterra, Presidente Ente Parco Nazionale del Pollino;

Giuseppe Melfi, Direttore Ente Parco Nazionale del Pollino;

Maria Vittoria Aiello, Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione Calabria, Settore Parchi a Aree Naturali Protette – Responsabile di Azione;

Ilario Treccosti, Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione Calabria – Settore Parchi ed Aree Naturali Protette;

Ida Cozza, Dipartimento Territorio e Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria;

Elvira Dodaro, AT POR Calabria – Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione Calabria;

Antonio Iantorno, naturalista;

l’Osservatorio Regionale sulla Biodiversità;

l'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).

 

Pubblicazione realizzata nell’ambito del P.O. Calabria FERS-FSE 2014-2020

Asse VI, Azione 6.5.A.1 – Sub-Azione 2

 

 

 

 

Ente gestore Riserve